domenica 1 agosto 2004

Alfonso Pinto

I DVD sono in fila sulla mensola del soggiorno. Il Marciano di Paul Newman, il La Motta di De Niro, un paio di Rocky. «Il mio preferito è Ali». Il film di Michael Mann in cui Will Smith s'incarna in Cassius Clay. «Quello è un grande uomo. Ali, dico. Un massimo che si sposta come un leggero, altro che Tyson. 'A verità? Mi piace imitarlo. Mi muovo come lui». L'ultima speranza di Torre Annunziata si chiama Alfonso Pinto. E' il più leggero fra i campani di Atene, un morso d'uomo che per salire sul ring deve rimanere sotto i 48 chili dei minimosca. «In allenamento gli aggiungo dei pesi nei guantoni, così la smette di fare Clay e tiene le mani alte», racconta il maestro Ernesto Bergamasco, ex olimpionico e professionista con un'esperienza al Madison Square Garden.


Allena Pinto nella palestra d'una scuola, il terzo circolo didattico del quartiere che a Torre chiamano la Ferriera, là una volta c' era l'Ilva. Bergamasco l'ha presa in gestione dal Comune: «Era uno sgabuzzino». Ci sarebbe da rifare il solaio. Ci sarebbe. Lì dentro fanno boxe una sessantina di persone, compresa una signora di 70 anni che picchia il sacco con le carezze. E' questo il nido in cui Alfonso Pinto ha preparato l'assalto a una medaglia, la svolta della vita sua e d'una famiglia semplice, nonno presepista («Lo chiamavano Mastro Natale») e papà operatore ecologico. «Col podio mi sistemo. Non mi abbandona più nessuno. Conosco pugili bravi che sono andati al Nord a lavorare. Io non voglio rifare il muratore». E' stato il suo mestiere per 30 mila lire al giorno. «Poi sono diventato un bravo imbianchino, e me ne facevo dare almeno 50 mila». Se aveva bisogno di qualche soldino in tasca, Pinto doveva scappare dalla boxe. «Il maestro Bergamasco mi pagava la giornata per non farmi andare al cantiere e per farmi allenare». Non si contano più, le fughe di Pinto. «Lasciai tutto già dopo il primo match, ai campionati regionali. Perché avevo perso». E' scappato finanche da un ritiro della Nazionale. «Lì ci andavo volentieri: per i soldi del gettone. Ma fra una chiamata e l'altra, mica potevo aspettare a loro? Dovevo cercarmi un lavoretto, e quando lo trovavo, la boxe mi veniva a cercare. Sai che significa? Litigi a morire con mia moglie. Finché capii che mi chiamavano solo per fare lo sparring: non credevano in me. Specialmente Oliva. Allora pensai che prima dei soldi viene il nome. Ero uno junior, gli allenamenti facevano male, e quello era pure un ritiro senza match. "Accocchiai" un milione, e me ne tornai».
A maggio 2003, invece, non si presentò neppure. Dal ritiro in Umbria, il c.t. azzurro Falcinelli chiama Bergamasco: «Ma Alfonso è da te? Qui non c'è. Basta. Non voglio più saperne di lui». Il maestro sale le scale di casa Pinto e sveglia il ragazzo con un paio di schiaffi. «Mi hanno fatto bene». Più brutto fu quando la boxe lo mandò via con una squalifica di 20 mesi. «Stavo per sposarmi, era il '98. Sapevo che ai campionati italiani ci sarebbe stato l'antidoping, si fa sempre. Ma un mese prima avevo giocato a carte una notte intera con amici. Loro si fanno le canne, io no, non mi piace». Però quella sera sì. «Vabbè, dài, un tiro lo feci. Uno solo. Si può essere positivi per un tiro? Un medico mi spiegò che pagai per il fumo passivo». Furono quelli i 20 mesi da muratore, a Mantova, dove vivono i suoceri. «Lavoravo come un ciuccio per quattro soldi, intanto leggevo sui giornali i risultati degli Europei, dei Mondiali, e mi arrabbiavo. I miei amici dicono che col matrimonio si sono inguaiati. Io invece mi sono salvato. Ora faccio tutto per Christian, il mio bimbo. La mia fortuna è che in 15 giorni mi rimetto in forma». Ed è tornato. Oggi Pinto è un dilettante anomalo. Affronta avversari che hanno un'esperienza da 200 match, lui ne ha messi insieme meno di 50. Ha fatto il conto dei danni, 40 mila euro di gettoni presenza sfumati. Sono più giovani, ma più esperti, anche gli altri due pugili campani d' Atene, Domenico Valentino e Clemente Russo, tutt'e due di Marcianise. «Ho sbagliato. Mio fratello Luigi - dice Pinto - era un peso piuma. Se aggiungi la sua testa al mio talento, viene fuori un campione del mondo. Ora voglio svoltare. Con la medaglia. Ad Atene, o a Pechino, tanto fra 4 anni sarò lì». Se non scappa prima.

Repubblica Napoli, 31 luglio 2004

Nessun commento: