lunedì 2 agosto 2004

Ennio Falco. In difesa dei fucili



SONO piattelli, ma fa impressione vederli andare in briciole. Di questi tempi, poi. Uno sparo è sempre uno sparo. «Chiariamo subito, allora. Sono stato il primo campione olimpico della storia ad andare in Libano. Ho portato il mio fucile a Beirut. Quale messaggio migliore per invitare ad usare le armi solo come attrezzo sportivo, e non per fare la guerra. Per dirla tutta, a Beirut andai con moglie e figlia». Wolf Creek, così si chiamava il posto dove Ennio Falco vinse il suo oro ai Giochi, otto anni fa, edizione di Atlanta. Con 149 piattelli frantumati su 150, sbagliò il sestultimo, e ci scappò un bacio al fucile, il suo amico imbarazzante. «Capisco: sono di parte. Ma dove lo trovi uno sport pulito come il tiro a volo? Sei tu, da solo coi tuoi pensieri, e all'aria aperta».



Piaceva a papà Geppino, che se ne invaghì vedendo in tv la vittoria di Rossini ai Giochi di Melbourne. Tanto da voler costruire un campo tutto suo a Sant'Angelo in Formis, fra Capua e Caserta. E' il rifugio di Falco, ora. «Qui, da qualche parte sul campo, credo d'essere stato finanche concepito». Ha perso il padre che aveva 16 anni: «Ero a Montecatini per una gara». La madre Mimma addirittura nella sera della festa per la vittoria ad Atlanta: «E' morta mentre c'era tutto il paese in piazza». Il campo è nascosto fra le pieghe d'una decina di tornanti che vanno su e giù, una pacchia per i ciclo-amatori della zona. Salici, pioppi, pini, un paio di cani in libertà, un laghetto artificiale con gazze ed upupa. Questo è il regno di Falco. «Non sto scherzando: su quell'albero laggiù, accanto ai bersagli, i passeri vanno a farci i nidi. Sanno che possono star tranquilli». Il clima piace un po' meno ai vicini della campagna accanto. «Dicono che si sente la deflagrazione della fucilata. E' un disagio, lo so. Ma quanti ne sopportiamo in silenzio per colpa del calcio? Sono capitato sul raccordo anulare di Roma nella sera di un derby, e sono rimasto intrappolato per 4 ore. Un'altra?». Sentiamo. «Una volta, vado a Civitavecchia per una gara. Un'ora prima scopriamo che un provvedimento firmato d'urgenza ci vieta di sparare, per non disturbare la quiete di un casolare. Gara rinviata. Torniamo la settimana dopo, stessa scena e nuovo rinvio. Siamo riusciti a fare la nostra bella gara solo tornando per la terza volta, e dopo un po' abbiamo scoperto che quel casolare era abusivo. Perché prendersela con noi sport più deboli?».

Da quando i genitori non ci sono più, Ennio provvede alla gestione del poligono, un circolo con 400 soci, porto d'armi sportivo obbligatorio e fedina penale senza macchie. E' l'ultimo di 5 figli, il solo al quale sia rimasta incollata addosso la passione di papà. Gli altri si sono dedicati all'Università, suo fratello è un cardiochirurgo, Ennio ha imboccato la strada dello sport, compresa la laurea all'Isef. «Credo che i miei fratelli e sorelle non abbiano mai sparato un colpo in vita loro. Papà non mi ha mai visto provare, e se non ricordo male non mi spingeva a farlo». Anzi, la sensazione è che addirittura non volesse. «Mi piacerebbe introdurre nel tiro a volo la dignità di cui si giova il golf». Come una stella del golf, intanto, lo trattano i signori dell'Oriente, che nel '99 gli offrono una grande tentazione. E' il sultano del Brunei, Sufri Bulki, a chiedergli di lasciare l'Italia. Il prezzo per il trasferimento è 3 miliardi e 850 milioni di lire. Sufri Bulki non cerca un istruttore personale; quello ce l' ha già e lo stipendia con 800.000 dollari l' anno. Vuole Falco nella Nazionale del Brunei, per schierare un uomo da medaglia d'oro ai Giochi del 2000. «Vuoi sapere perché saltò tutto? Oggi posso dirlo. Scoprii che una volta cambiata nazionalità, sarei rimasto fermo due anni per squalifica. Niente Sydney, insomma. Dovetti rifiutare, ma dentro di me speravo di poter concludere dopo: in tempo per Atene». Il quattordicesimo posto deve aver rovinato i piani. «Il tiro è uno sport in cui basta sbagliare un piattello per precipitare dal podio alla mediocrità».

Nel frattempo, Sufri Bulki s'è fatto costruire con 100 milioni di dollari un campo nella sua residenza estiva. Ha le pedane da tiro in marmo di Carrara e gli arredi degli spogliatoi in oro massiccio. «Tutto comincia ai Mondiali di Finlandia. Nell' ascensore dell'albergo a Tampere, sbaglio a schiacciare il pulsante, e finisco a un piano dove vedo due body guard con dei Rolex enormi al polso. Figurati chi c'è in quella camera, mi chiedo». C'è il fratello del sultano, atleta di buon livello. «In gara a Sydney, al posto mio, il sultano ha poi mandato suo figlio, al quale diedi qualche consiglio, ma che dopo non ho rivisto in giro. Qualcuno mi ha pure detto che il campo miliardario non esiste più». L'ultimo amico nel mondo arabo è Saeed Almaktoum, ministro dello sport del governo di Dubai, numero 34 al mondo nella classifica internazionale. «Faremo in casa sua i Mondiali dell'anno prossimo. Sono mesi che mi invita ad allenarmi da lui. Io gli rispondo: vieni tu da me, ti faccio assaggiare la mozzarella». Sarà meno suggestivo, ma se proprio deve spostarsi per un allenamento, Falco preferisce Taranto. «Lì c' è Tonino Blasi, l'uomo a cui devo tanto. Era il mio c.t. quando vinsi l'oro ad Atlanta. Poi fu ingaggiato dalla Nazionale di Cipro. E' stato il primo al mondo a introdurre il computer per studiare il rendimento degli atleti in pedana. Lui aveva calcolato in quale ora del giorno mi capitava di sbagliare più piattelli, ed in quell'ora mi teneva di più in campo. Sapeva quale numero di piattello in una serie mi provocava più errori: il quinto, il sesto, il settimo. Insomma, lavorava su questi piccoli dettagli. Magari erano solo trucchetti psicologici, ma funzionava. Tutte le volte che posso, anche se di nascosto, vado a Taranto da lui».

Di bello, c'è che i piattelli trattano tutti allo stesso modo. Sultani, sceicchi, giovani, donne. «Nel '92 fummo battuti da una ragazza cinese che colpì 200 piattelli su 200. E allora che ci inventiamo, noi uomini? Decidiamo che le donne devono avere una gara a parte. La cosa che invece a me piace di più è perdere da un ragazzino. E' bellissimo trovare ogni tanto uno di venti-ventuno anni che mi batte. Significa che questo sport ha un futuro». Ma otto anni dopo Atlanta, Ennio Falco è ancora il numero 1 al mondo nella classifica Issf. «La medaglia d'oro vinta in America è stata a lungo nella cassaforte d'una banca. Finché mia figlia, a 4 anni e mezzo, non ha dubitato: papi, ma l'hai vinta veramente o no? Non ci credo, dove sta? Adesso ce l'ho a casa. Ma ho sempre paura dei ladri». Segno che in casa un fucile non c'è. Forse.

(Repubblica Napoli, 1 agosto 2004)

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