lunedì 3 dicembre 2018

Alle radici di Re Cecconi

La vita che Luciano Re Cecconi avrebbe avuto è tutta dentro un paese costruito in discesa poco fuori Milano, dove ancora abitano sua moglie Cesarina e i figli Stefano e Francesca. «Noi non lo abbiamo mai dimenticato» quasi sussurra Massimo Cozzi, magazziniere di un'azienda di Rho che ha preso l'aspettativa per fare il sindaco a Nerviano. Il Comune è dentro un ex monastero. Cozzi ha un ufficio che dà sul fiume Olona, parcheggia con il disco orario, non ha l'auto di servizio, anzi si sposta in bici e ha tolto il cellulare ai consiglieri. «Ma ora in bilancio ci sono 600mila euro per ristrutturare lo stadio», dice. Il Comunale Re Cecconi, dove fra i dilettanti gioca la Nervianese. Il campo del Luciano bambino è all'oratorio di sant'Ilario. È qui che Re Cecconi festeggerebbe domani 70 anni, senza quel colpo di pistola che un gioielliere gli sparò al petto il 18 gennaio 1977. «Sarebbe stato un allenatore magnifico, aveva etica, competenza, principi saldi», ne è certo Pino Wilson, che di quella Lazio era capitano e leader di una fazione, spogliatoi separati, le risse in allenamento, al cinema, al ristorante, e poi le pistole, un poligono dietro il campo, le luci delle camere in ritiro spente con un proiettile alle lampadine prima di dormire. Luciano detto Cecco stava dall'altra parte. Contro Chinaglia e Wilson, alleato di Martini. Soprannome: il Saggio. Non sparava, non andava al night, non giocava a poker in una Lazio drammaturgicamente perfetta.


L'allenatore Maestrelli gli affidava i bambini da portare al cinema. Era il "tato". Eppure per anni è stata in piedi l'ipotesi di un omicidio nato da un suo scherzo, una bravata. Due libri inchiesta di Maurizio Martucci e Guy Chiappaventi l'hanno smontata. Ghedin, che era con lui, non ha voluto mai raccontare a cuore aperto cosa accadde. La famiglia Re Cecconi non se ne capacita e Stefano protegge nel riserbo un'impossibile ricerca di pace; li chiamano "coquadra" a Nerviano gli uomini che non si lasciano convincere, tenaci e aspri come la torre al centro del paese. «Di lui molti conoscono solo il primo tempo, manca il secondo…» ripete a chi gli sta vicino. Nel libro Lui era mio papà (Reality Book, 2008) scrive: «Lo hanno descritto con superficialità, svestendolo del suo abito di uomo normale. Molti mi ricordano come è morto, io voglio ricordare come è vissuto per farlo vivere ancora. Il tempo fa sempre il suo lavoro».

La tomba dove riposa Re Cecconi è tanto bruna quanto lui era biondo. Dello scrittore Carlo D'Amicis era il preferito perché dalla collina Fleming dove il papà lo portò a vedere la prima partita - come racconta in Ho visto un re (Limina, 1999) - si vedeva un solo spicchio di Olimpico e quella zanzara chiara era lì. «Mi piaceva - dice ora - la sua dimensione da anti-eroe silenzioso. Mi ha insegnato che anche gli eroi perdono, possono pure morire. Nessuno lo difese da un'opinione pubblica feroce, dinanzi al corporativismo forte dei gioiellieri e dei commercianti che in quei giorni erano in prima linea».



Giancarlo Oddi, altro compagno, dice che oggi in campo uno come lui non esiste, «un 4 che faceva il 10 con i piedi di un numero 8». Nell'intervallo di un Milan-Lazio dovettero portare una bombola d'ossigeno a Benetti che non riusciva a stargli dietro. Oddi aveva un nonno che votava Pci e quando Re Cecconi confessò di essersi iscritto con Martini a un corso di paracadutismo gli disse: sei diventato fascista pure tu. Invece era voglia di scoprire cos'è la paura, dopo aver convinto Martini a salire a cavallo. Roma gli ha dedicato una via in un parco. Il calcio italiano niente. Nerviano ricorda "il Morelli" che vinse una tappa al Giro e andò quattro volte al Tour, "il Goffi" argento europeo di maratona e "il Cecco". «Ma più che intestargli una piazza - dice il sindaco - mi piacerebbe riprendere il torneo giovanile che nel suo nome si giocava qui fino a qualche anno fa. Aspettiamo un aiuto dalla Lazio». Chissà come sarebbe stata la vita che Luciano non ha avuto. «Mi piacerebbe sognarlo una notte», dice Wilson. «In 40 anni non è successo ancora».

(la Repubblica, 30 novembre 2018)

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