Peccato che alla sua Grande Riforma non abbia creduto neppure lo stesso calcio italiano. Nel tentativo di farla partire in fretta per prendersene i meriti, il dg della Figc Uva l'ha mandata a sbattere sull'indifferenza diffusa e tempi stretti di organizzazione. Una alla volta si sono sfilate tutte le squadre, chi non aveva lo stadio, chi non aveva i soldi, chi preferisce una seconda proprietà in giro per l'Italia. Solo la Juve in due settimane s'è costruita una squadra B, fornendo l'occasione per domandarci ora a chi e a cosa serva.
Non allo scopo per cui doveva nascere, dopo aver tolto pure un posto in serie C a realtà di provincia, motivo per cui Gravina era contrario. Nella formazione titolare battuta due giorni fa a Lucca, c'erano 4 stranieri (lo svedese Andersson, il tedesco Touré, il cipriota Kastanos, il brasiliano Pereira) e due fuoriquota, il 24enne Emmanuello e il difensore Del Prete, anni 32: sei giocatori su undici di cui un'ipotetica Nazionale non saprebbe cosa farsene. In rosa compaiono pure l'inglese Mavididi, l'uruguayano Wibmer e lo svizzero Kameraj. I giocatori d'interesse della Nazionale restano due o tre, sono nel giro della Under 20 azzurra. Tutto qui. Allora delle due l'una: o non abbiamo capito lo scopo della Grande Riforma o la Juve la sta interpretando secondo una visione sua.
Tesserare vecchie glorie del vivaio è legittimo, così come far giocare gli stranieri. Ma è altrettanto legittimo domandarsi se la Juventus U23, in serie C con uno specifico mandato federale, sia tenuta a comportarsi come qualcosa di nuovo e di diverso, o possa sentirsi una squadra uguale alle altre; se insomma il suo scopo sia solo far punti, salvarsi e immettere nel mercato di seconda fascia giocatori in grado di alimentare la propria sfera di influenza e la propria egemonia nel circuito di scambi e prestiti. Tutto nel silenzio della Lega che avrebbe potuto opporsi a una riforma per una squadra sola, e provare a farla bene, a farla per davvero.
(la Repubblica, 30 ottobre 2018)
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