ROMA. Eravamo sarti raffinati e grandi musicisti, montatori, direttori della fotografia e maghi degli effetti speciali. Eravamo affidabili artigiani a cui consegnare un pezzo di film, con la certezza che Ferretti-Lo Schiavo, o Milena Canonero, o Storaro, o Moroder e Morricone, Scalia o Rambaldi avrebbero reso speciali una scena, un taglio di luce o anche solo il profilo di un alieno, il dettaglio indimenticabile del suo dito indice puntato su telefono-casa. Italians, diceva Hollywood, e si pensava a loro. Ora gli Italians reggono le macchine da presa, con una continuità e un'espansione che nel nostro cinema si erano viste raramente. "Le porte le ha aperte Gabriele Muccino una dozzina d'anni fa. Se lui non fosse andato in America, tutto questo non esisterebbe".
Stefano Sollima è l'ultimo a essersi meritato la chiamata. S'è accomodato pochi giorni fa in una poltrona dell'Amc di Marina del Rey, "la mia sala cinematografica preferita al mondo", e ha guardato in anteprima la versione finale del suo Soldado, il sequel di Sicario, giocattolino da cinquanta milioni che Hollywood gli ha messo tra le mani perché il suo viaggio partito dal male di Gomorra. La serie è stato giudicato convincente. Il film esce oggi negli Stati Uniti, noi lo vedremo a ottobre.
Quando l'Italia era soprattutto Fellini, come un giorno lui stesso spiegò, l'America e il cinema erano la stessa cosa, "si confondevano", perché l'America aveva riscattato e protetto "dallo squallore del fascismo, dell'educazione cattolicheggiante, della famiglia piccolo borghese". Era uno spiraglio su un altro mondo per chi usciva dal neorealismo. Quello che nell'ultimo trentennio è invece stata l'Italia per l'America, si deduce dai gusti dell'Academy e dalla lista degli Oscar: eravamo la Sicilia immobile del Nuovo Cinema Paradiso di Tornatore, il pastello Mediterraneo di Salvatores, la fiaba sentimentale de La vita è bella. I "Nuovi Maestri" di oggi - giusto per andarsi a infilare nelle funi delle definizioni - si portano dietro un panorama più vasto di linguaggi, modelli e sguardi. Il cinema degli affetti di Muccino, e va bene. Ma poi l'America s'è invaghita dei mondi onirici di Paolo Sorrentino, della sua visionarietà, fino all'Oscar per la Grande bellezza e al giovane Papa prodotto da Hbo. L'America ha accolto i primi tentativi di Gianfranco Rosi. Ha scoperto prima di noi Luca Guadagnino. Aspetta l'affermazione definitiva di Roberto Minervini e Andrea Pallaoro. Cofinanzia The Neapolitan Novels (dai libri di Elena Ferrante) di Saverio Costanzo. "Un filo allora ci deve essere" ragiona Sollima, "anche se le nostre esperienze possono dirsi tutte singolari e differenti. Il filo è la credibilità. L'affidabilità. E penso che presto altri registi si aggiungeranno, primo fra tutti dovrebbe Matteo Garrone. Ne ha i mezzi, ma non gli interessa, ed è un peccato. Sente di star bene in Italia, nella sua assoluta autonomia. Eppure sono certo che piacerebbe".
Il telefono di Stefano Sollima è squillato dopo 52 anni, qualche fiction e l'ultimo decennio tutto di corsa, con due stagioni di Romanzo criminale, due di Gomorra, due film: Acab e Suburra. "Onestamente: non sono andato a Hollywood con le mani che tremavano. Sono un romano cinico. Voglio dire: non sono il tipo che non dorme la notte prima del ciak d'esordio".
Soldado è una storia di violenza legata ai traffici intorno all'immigrazione, alla frontiera fra gli Stati Uniti e il Messico. I cartelli della droga, il terrorismo, la corruzione. Con Benicio del Toro, Josh Brolin, Jeffrey Donovan, Matthew Modine e la giovane Isabela Moner, bravissima. "A questo punto, una volta alla macchina da presa, qualcosa è successo. Vivevo come una specie di sdoppiamento. Davo le mie solite indicazioni all'attore sulla scena, tornavo al mio posto e realizzavo che l'attore era Benicio del Toro". Ci vuole tanta leggerezza per gestire l'idea che stai maneggiando un'operazione da cinquanta milioni. "Bisogna essere bravi a considerare le responsabilità senza lasciare che ti schiaccino. La chiave è concentrarsi sulle possibilità, non sui pesi da portare. Io non mi sento uno baciato dal successo tardivo. Ho rifiutato tanti copioni americani prima di Soldado perché non mi convincevano. Gli inseguimenti e le sparatorie da soli non mi appartengono. Ho detto tanti no perché non riconoscevo il mio sguardo. Un treno nella vita prima o poi passa per tutti. Ecco, io credo che neppure Soldado sia il mio treno. Penso che l'occasione non sia ancora arrivata. Penso che tutto quel che mi è capitato sia una lunga preparazione a qualcosa non ancora successa. E poi le cose spesso accadono per caso. Ho fatto Gomorra. La serie per non fare Romanzo criminale 3, mi sono messo a scrivere Zero Zero Zero - ancora tratto da Saviano - per non fare Gomorra 3. La serialità è il luogo che consente maggiore creatività, si sperimenta, temo solo che stia diventando una bolla. C'è una produzione superiore alle esigenze. Se oggi volessi vedere tutto, dovrei fratturarmi due volte il femore e stare mesi a letto".
Ora sta scrivendo la miniserie Colt, da un vecchio progetto di Sergio Leone, il mondo in cui Sollima sente di avere le radici. Sergio, suo padre, scomparso tre anni fa, è stato uno dei signori degli spaghetti western anni Sessanta, oltre che regista del mitico Sandokan televisivo del 1976. "Non so cosa direbbe di un figlio a Hollywood, non ci ho pensato. Non ho mai girato una scena pensando chissà come la farebbe lui, ma la sua presenza l'avverto. Il mio cinema è politico, senza alcun dubbio, come lo era il suo".
I Sollima hanno una storia familiare di sinistra. La tessera del Pci, le feste dell'Unità, gli zii di Trieste che andavano in vacanza in Unione Sovietica. "Il cinema dell'impegno civile anni Settanta sembrava prerogativa degli autori, i Petri, i Damiani, i Vancini, i Montaldo. Io credo che cinema politico si possa fare con la grammatica del cinema d'intrattenimento, con un linguaggio nuovo. Il cinema di mio padre e molti dei western di quegli anni - non giriamoci troppo attorno - di cosa parlavano se non di una rivoluzione da augurarsi? Penso che la rivoluzione resti necessaria, stavolta contro noi stessi, contro la nostra incapacità di indignarci. Basta guardare dove si sta spingendo l'Italia. Ma il ditino che si alza e impartisce la lezione non lo sopporto più. Ci siamo adagiati per anni sull'intellettualismo. Il cinema è una macchina potente, se vogliamo subdola. Può dire cose enormi, con l'arma della fascinazione. Può legare uno spettatore a un personaggio, fargli guardare il mondo come lui e desiderare di pensarla come lui. Questo riesce persino meglio a un film d'azione. Prendere per mano uno spettatore e metterlo di fronte a una contraddizione, oppure far trovare gradevole un personaggio spietato, rimane un esercizio d'autore. Perché dovrebbe spaventarmi? Il male è più interessante del bene da raccontare. Rivela qualcosa di noi. Perciò tante critiche a Gomorra mi sono state indifferenti. Io voglio potermi prendere tutta la libertà di un autore nel mostrare il male, non devo badare alla par condicio, peraltro è un male che nella realtà esiste. Non me lo sono inventato io né Saviano".
Orfano di madre a nove anni, Stefano è cresciuto seguendo i ciak di suo padre, anchein India e in Malesia. "Sarà per questo che oggi non ho il mito del set. Anzi. I set possono essere luoghi terribili. Me li ricordo di una noia mortale. Per molto tempo non ho nemmeno ben capito che lavoro facesse mio padre. Forse è il motivo per cui mi porto addosso questa mancanza d'enfasi, o sarà che vivo un distacco dalla materia grazie al lavoro da giornalista e di documentarista fatto in precedenza". Seguì la guerra del Golfo da Gerusalemme per un'agenzia che vendeva news a Nbc e Cnn. "Il mio approccio da allora non è cambiato. La documentazione viene prima di tutto. Prima di cominciare a girare Soldado, mi sono fatto accompagnare al confine. Mi guardavano come si guarda un matto: cosa ti interessa? Guardare. Sapere. Questo mi importa. Un giorno la polizia ha fermato con le armi in pugno una delle nostre jeep, all'interno gli attori erano vestiti pure loro da agenti. Loro quella realtà la vivono sul serio ogni giorno, e noi ci stavamo facendo un film. Smarrimento. Uno dei nostri allora ha gridato: fermi, siamo attori. Il poliziotto ha chiesto: cosa state girando? E con uno slancio di professionalità, quello gli ha risposto che aveva firmato un contratto con clausola di riservatezza, non poteva rivelarlo. Ci hanno scortato fino al set".
Sollima avrebbe portato con sé alla prima americana del film pure i suoi due bambini ("Hanno visto il Sandokan del nonno fino a consumarlo, ora piano piano li guiderò alla visione dei miei film"), se non fosse che il divieto per i minori imposto al film avrebbe fatto di lui un genitore bizzarro agli occhi degli americani. "Ma la violenza in Soldado non è mai estetica, come non lo era in Gomorra. La realtà deve prevalere sul compiacimento. Il male e i cattivi sono uguali ovunque. Nei classici greci, in Shakespeare o in Scorsese. Io ho fatto il liceo classico e preferisco i Greci, spero che guardando Gomorra qualcuno se ne sia accorto. Ma i Greci vanno forte anche in America. Pure se qualche volta gli americani non lo sanno".
(Il Venerdì del 29 giugno 2018)
Nessun commento:
Posta un commento