Non si tirano fuori 350 milioni di euro per vincere un ottavo scudetto di fila, un nono e un decimo; forse nemmeno per dare la caccia alla Champions vale la pena spingersi a tanto. Se la Juventus avesse comprato Cristiano Ronaldo soltanto per vivere gioie che in fondo già conosce, i suoi soldi resterebbero una spesa. Invece sono altro, sono un investimento, sono il prezzo per la resa dei conti definitiva con una dimensione a cui la Juventus sente di non appartenere più. Sarà questo il tema politico e mediatico nel calcio italiano dei prossimi mesi.
La Juventus non sta allargando la distanza con il resto della serie A per accrescere il numero dei suoi titoli; lo fa per andarle oltre, per scrollarsela di dosso, per far diventare la sua egemonia una questione da porre e da risolvere fuori dal terreno su cui la esercita. Prendere Ronaldo e vivere coerentemente con lui non significa battere chi è stato già battuto con Zaza, e neppure superare finalmente quelli che Ronaldo ce l'avevano prima.
L'ingaggio di Ronaldo ha un senso perché aprirà la strada - con un timing perfetto - a discorsi rotondi nelle sedi giuste, in modo da superare i campionati senza storia come quelli in Italia, Germania, Francia.
Il calcio delle oligarchie e dell'antagonismo svuotato, da tempo, accarezza l'idea di una scissione dai tornei nazionali. La Superlega europea fu già una tentazione un paio di anni fa. Venne congelata. Ora, nello stesso recinto che accoglie il re dei Palloni d'oro e nelle stesse ore falliscono Bari e Cesena, vanno a processo - per illeciti - Chievo e Parma. La serie A di Ronaldo rischia di riscrivere la griglia di partenza. Cosa pensiamo che la Juventus immagini di avere da spartire con un panorama simile? Ma per potersene staccare non le basta esserne consapevole, e neppure volerlo. Serve che questa diversità le sia riconosciuta sul pianeta dove vuole traslocare. Ronaldo è il biglietto definitivo per il viaggio interstellar che la Juventus prepara. È un accredito.
In una intervista pubblicata dal Guardian il 23 maggio scorso, il presidente Andrea Agnelli immaginava un nuovo format per la Champions a trentadue squadre, non più costruita su otto gironi da quattro, ma su quattro gironi da otto, così da avere un minimo di sette partite all'andata e sette al ritorno, in tutto quattordici contro le attuali sei.
«Vogliamo tutti più gare internazionali – disse – e meno partite di campionato». Più Manchester e meno Atalanta. Più incassi, più diritti tv, più visibilità globale, più marketing, più fatturato. «Inoltre sarebbe necessaria - aggiunse, ed era un messaggio per Uefa e Fifa - una riduzione delle gare perché non si può pensare di superare un certo numero di incontri. Sono solo proposte, però, non c'è ancora un progetto vero in questo senso».
Non importa se esista già un progetto o quanto sia avanzato. Conta il fatto che Agnelli stava indicando un orizzonte, lui che è anche il presidente dell'Associazione dei club europei (Eca). La Juventus ha nella testa la vita su un altro pianeta, non la salvezza di quello che oggi abita. Contemporaneamente la Fifa ha disegnato il nuovo Mondiale per club dal 2021, con 24 squadre, la metà delle quali europee, secondo un principio chiaro: i migliori giocano solo con i migliori. Un torneo a inviti per l'élite, dove la gloria esiste in quanto panna su una torta da tre miliardi di introiti. È la visione di un neo-calcio fatto da franchigie, non più giocato da squadre ma da brand che si auto-alimentano dentro questa riserva autonoma ed esclusiva. Un banchetto a cui in Italia si illudono di partecipare una volta la Roma con il progetto del nuovo stadio, un'altra Napoli legandosi ad Ancelotti, oppure Milano in virtù del suo nome.
La Juventus è all'atto finale. È già lì. Avere Ronaldo porta dritti allo strappo verso questo pianeta, così lontano da percorsi, esperienze e prospettive di un Torino, un Cagliari, una Sampdoria, una Fiorentina - squadre che hanno vinto scudetti, e non millenni fa, nell'era che precedette il calcio delle pay tv. Ma nel nuovo mondo non hanno più rivinto. Sono escluse in partenza da una porzione del gioco, come in Inghilterra non hanno più rivinto Leeds, Everton, Nottingham, Aston Villa, Derby County; né in Spagna l'Athletic Bilbao o la Real Sociedad. Il calcio che si innamora della "favola Leicester" è lo stesso che la accetta come un'eccezione. Per la poesia resteranno ogni quattro anni i Mondiali, dove le sconfitte non mettono a rischio rendite e patrimoni. «Ogni proposta nel calcio - disse Agnelli - non troverà mai il 100% del consenso. Gli stakeholder devono sedersi per parlarne. Ci sono problemi di bilancio, di polarizzazione: dovremmo discuterne sotto l'egida dell'Uefa in modo da creare meccanismi di solidarietà». Tutto chiaro. Era il 23 maggio. Tre giorni dopo Ronaldo salutava il Real. Siamo ancora certi che l'arrivo di Cristiano serva pure al rilancio della serie A?
(la Repubblica, 18 luglio 2018)
2 commenti:
I fatti hanno dimostrato che la scelta della Juve è corretta. Ronaldo ha 5 Golden Globe Awards, 15 trofei di club e un record senza precedenti dei tre campionati consecutivi di Champions League, che vanno oltre la ricerca di sé e la qualità fisica della gente comune. Unendo la Juventus, continua a creare brillantezza. È un genio del calcio raro.
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