Quando Saba scriveva che «il portiere su e giù cammina come sentinella», mentre Pasolini considerava il calcio «l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo», nel mondo delle lettere nessuno immaginava che dall'universo dei numeri sarebbero venuti a prendersi il pallone. Da sport narrato a sport analizzato. «Quando la matematica incontra il mondo reale può accadere di tutto», dice David Sumpter, londinese, insegnante di matematica applicata all'università di Uppsala, in Svezia. E cosa c'è di più reale del calcio? «Mettere in pratica una teoria è importante quanto conoscerla. Questa combinazione di teoria e pratica fa del calcio lo sport che amiamo così tanto». Nel tempo libero, Sumpter allena una squadra di bambini. Dice di amare la bellezza astratta delle equazioni e poi sporca la sua matematica con la realtà. Ha lavorato con biologi e sociologi, ha creato modelli quasi per tutto e scomposto il calcio per dimostrare che gli allenatori usano strategie simili a quelle con cui gli uccelli attaccano i vermi, i difensori tedeschi del Bayern si muovono come leonesse a caccia, il Barcellona attacca con le stesse reti che una muffa produce per nutrirsi. Le sue tesi sono in Soccernomics che esce ora in italiano con il titolo La matematica del gol: Sumpter spiega quante probabilità esistono di vedere una rete in un determinato minuto, o come lo schema della "ola" negli stadi sia per noi divertente, e per i pesci una questione di vita o di morte.
sabato 21 ottobre 2017
Cosa c'entrano le muffe con il Barcellona
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venerdì 6 ottobre 2017
Viaggio in Neoborbonia, tra i nostalgici del Regno del sud
NAPOLI. Benso Camillo, conte di Cavour, madrelingua francese, presidente del Consiglio dell’Italia unita; Cialdini Enrico, generale maggiore dell’esercito piemontese che sparò su Pontelandolfo e Casalduni: voi siete i nemici della nazione meridionale, i malevoli avversari del Sud e del suo popolo. Che siano abbattuti i vostri busti e cancellati i nomi dalle strade. Mentre l’America vandalizzava le statue di Colombo e la Catalogna si ribellava a Madrid, nell’estate del passato da riscrivere il Mezzogiorno d’Italia ha scelto per obiettivo il Risorgimento, il «pezzo di storia rimosso», la perduta età dell’oro borbonica. Al Consiglio regionale pugliese il M5S ha promosso una «giornata della memoria per le vittime meridionali dell’Unità d’Italia e i paesi rasi al suolo» per il 13 febbraio, il giorno in cui nel 1861 cadde per ultima Gaeta. Lo stesso documento è apparso in Abruzzo, Molise, Basilicata, Sicilia, Campania; una carezza alla pancia di un orgoglio postumo, quello che Antonio Ghirelli in Storia di Napoli (1973, Einaudi) definiva uno «schermo vittimistico dietro cui si trincera la classe dirigente», eppure in grado di «suscitare una notevole risonanza sentimentale a livello di massa».
È nella capitale dell’antico Regno delle Due Sicilie che bisogna andare per provare a capire cos’è questa febbre così nuova e insieme anacronistica, questo sposalizio tra archivi e populismo, uso della memoria e ricerca del consenso. Il Movimento neoborbonico è nato nel 1993, quando la politica e la classe dirigente del Paese venivano decapitate dalle inchieste su tangenti e corruzione. Salvatore Lanza, il segretario generale, dice che non si tratta di piagnisteo. «L’obiettivo è ricostruire la verità per i figli di tutti i meridionali. Dopo ogni conflitto ci si siede a un tavolo e si discute di risarcimenti, con noi non è successo. Eravamo un regno modello».
È nella capitale dell’antico Regno delle Due Sicilie che bisogna andare per provare a capire cos’è questa febbre così nuova e insieme anacronistica, questo sposalizio tra archivi e populismo, uso della memoria e ricerca del consenso. Il Movimento neoborbonico è nato nel 1993, quando la politica e la classe dirigente del Paese venivano decapitate dalle inchieste su tangenti e corruzione. Salvatore Lanza, il segretario generale, dice che non si tratta di piagnisteo. «L’obiettivo è ricostruire la verità per i figli di tutti i meridionali. Dopo ogni conflitto ci si siede a un tavolo e si discute di risarcimenti, con noi non è successo. Eravamo un regno modello».
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