mercoledì 10 maggio 2017

Irregolarità nel tesseramento di Maradona: revocati gli scudetti al Napoli

10 maggio 1987-2017: 30 anni scudetto Napoli


L’uomo che dovete immaginare ha un telefono tra le mani. Un fisso. Il filo attorcigliato. È seduto alla scrivania del suo ufficio – l’uomo, non il telefono. Fa il produttore. È ricco, frequenta donne magnifiche e per punizione la vita lo costringe a parlare con gli Arteteca. Questo sta facendo, adesso. Parla con loro. Discutono di soldi, o forse di battute da pronunciare nel prossimo film di Natale. L’uomo dialoga senza troppo trasporto. Senza passione, si direbbe. Con sofisticato distacco. È lavoro. Se al lavoro si dona la passione, il lavoro se ne approfitta.
Nella stanza accanto, una donna su una orribile sedia girevole bianca. Ha un computer acceso di fronte a sé. Un vasetto di vetro in cui sono infilati due evidenziatori – uno giallo, uno verde – una matita, una manciata di semi che profumano di qualcosa, un tubetto di colla. Un foglio Excel aperto sullo schermo. L’icona di facebook in basso a destra. Senza troppi svolazzi: il cliché della segretaria. Con le unghie lunghe smaltate di bianco digita sul centralino tre cifre. L’interno del Dottore. Lei lo chiama così da tanto tempo. Dottore.
“Una telefonata urgente per lei”, gli dice.
Più urgente degli Arteteca, vorrebbe aggiungere.
Il Dottore allora chiude il primo fronte, commuta la propria personalità sulla modalità Presidente di squadra di calcio, alza il telefono e ascolta. Non fa altro. Ascolta. Sarà passato un minuto ma pare un’eternità. Un minuto in cui fissa il vuoto, recepisce, incamera, assembla e partorisce in estrema sintesi la propria replica.
“Nun me ne po’ frega’ de meno”.
***
Quando una voce ferma e contrita comunicò la sciagurata notizia al Calcio Napoli, la città stava celebrando gli 880 anni della presa di Ruggero il Normanno, i 370 della Repubblica Napoletana, i 280 del teatro San Carlo, gli 80 anni della Mostra d’Oltremare, i 50 della morte di Totò e con rispetto parlando, senza offesa per nessuno, i 30 anni dello scudetto. Ricordare è la cosa che a Napoli riesce meglio. Ma chissà perché, pur avendone vissuti due, i napoletani dicono: lo scudetto. Al singolare. Come se fosse esistito solo il primo, il lavacro collettivo di un lungo scuorno, sufficiente a saziare la fame di successi passati e futuri. Lo scudetto. Quello là. 10 maggio '87.
Le istituzioni invece possiedono meno romanticismo. Così la Federcalcio, al Napoli, li tolse tutti e due. Con un comunicato ufficiale, che seguì di circa 30 minuti l’anticipazione della notizia data in privato al Presidente, e di altri 10 una breaking news lanciata da Gianluca Di Marzio sul suo sito e nel sottopancia da Sky, la giustizia sportiva dichiarava revocati il titolo di campione d‘Italia del 1987 e del 1990. Proprio nel giorno dell'anniversario. Una crudeltà mascherata da giustizia.


*** 

Castel Volturno, sede del Calcio Napoli. Un manipolo di dirigenti in evidente stato di agitazione. Sono indecisi se contattare il Presidente al telefono in viva voce, su skype o in qualche altro modo sofisticato che di certo in alcune aziende deve esserci. Alla fine optano per il vecchio caro telefono. L'altra voce è a Roma.
"Presidente, adesso cosa diciamo alla città?".
Quando c'è di mezzo il calcio,
spunta sempre qualcuno che la fa più grande di quello che è.
"Mica posso annà a citofonà casa per casa?".
"Dovremo diramare un comunicato".
"Ma che ve siete 'mpazziti? Solo voi in Italia dite ancora: diramare?".
"E allora che si fa?".
"Casomai famo 'ntweet".
***
Il tweet del presidente arrivò alle 17 e 47. Qualcuno scrisse che era stata scelta simbolicamente l'ora del fischio di chiusura di Napoli-Fiorentina il 10 maggio, quando Gian Piero Galeazzi si era fiondato su Ottavio Bianchi per chiedergli cosa sentisse dentro di sé, quale tempesta di sentimenti si fosse scatenata alla fine della storica attesa, e cosa, cosa, ce lo dicesse cosa stava provando al cospetto di una città impazzita; e quello, Bianchi, che doveva fare, ammise alla sua brescianissima maniera che sì, era moderatamente soddisfatto, e che il lavoro paga sempre.
In realtà il tweet partì alle 17 e 47 non per calcolo ma per sbaglio. Era rimasto venti minuti in bozze per assenza di connessione. Il presidente, col suo smartphone sotto un tunnel, manco lo sapeva che l'ora X all'epoca era stata quella.


"A causa di irregolarità nel tesseramento del calciatore argentino Maradona Diego Armando, avvenute il 30 giugno 1984, la Federcalcio delibera l'annullamento di tutti i titoli sportivi ottenuti dalla S.S.C.Napoli con la presenza del suddetto Maradona in campo".
In poche parole. Dopo un paio di interviste in cui Ferlaino aveva ammiccato con furbizia,  lasciando intendere di aver depositato il contratto d'ingaggio di Maradona oltre il tempo previsto, la Federcalcio aveva segretamente aperto un'inchiesta ed era giunta alla conclusione che in effetti una irregolarità c'era stata, una irregolarità tale da viziare i risultati sportivi delle stagioni dal 1984 al 1991.
Al Napoli furono tolti due scudetti, una Coppa Italia, una Supercoppa e il gol su punizione sotto la pioggia alla Juventus. L'Uefa dovette prendere atto della severità della Federcalcio italiana e revocare pure la Coppa Uefa del 1989.
Prima di emettere il verdetto - come trapelò - nelle stanze della Federcalcio si era a lungo dibattuto se si potesse trattare di un reato in prescrizione, ma si era giunti alla conclusione che trattandosi di Napoli no, di prescrizione non si poteva parlare, giacché il popolo trent'anni dopo ancora festeggiava il titolo come se fosse arrivato la sera prima.
***
Le radio subito ipotizzarono che la società avrebbe fatto apporre all'esterno dello stadio San Paolo la scritta: "Due sul campo". La faccenda, come si sarebbe saputo più in là, venne davvero presa in considerazione, malgrado qualche perplessità iniziale sulla scritta: sembrava più un titolo di Federico Moccia o il consueto allarme lanciato dai guardiani di fronte alle coppiette che di notte si intrufolavano appartandosi sul prato. L'iniziativa si arenò definitivamente a causa dell'incertezza sul soggetto a cui toccassero i lavori, il Comune o il Calcio Napoli?


I quotidiani di ogni dove spedirono inviati in città aspettandosi la fine del mondo. I tg confezionarono servizi in cui venivano lanciati accorati appelli alla popolazione affinché mantenesse la calma. Le regie mobili delle principali emittenti cominciarono a percorrere le vie di Napoli per dedicarsi anema e core a quella che il canale più seguito definì l'apocalisse del pallone. "Possiamo chiamarla una Gomorra del calcio?", chiese la conduttrice dallo studio. L'uomo sotto forma di microfono piazzato in piazza Plebiscito rispose di sì, certo, era proprio una sorta di Gomorra del calcio, salutò e chiuse il collegamento in diretta dal giudizio universale. Il problema vero era che intorno non succedeva niente, forse come dice il film per non fare cattiva figura con dio.
Ma qualcosa sarebbe prima o poi successo. A Napoli. Diamine. Per forza. Allora i principali opinionisti del Paese, chiamati in video a commentare, si lanciarono in una serie di ipotesi e di scenari. Li chiamavano retroscena, giacché sulla scena nulla c'era, tranne un gigantesco silenzio collettivo.

Fecero girare insistente la voce dell'assalto al Duomo di una piccola folla di bizzoche, pronta a brandire le ampolle del sangue di san Gennaro per neutralizzare il malefizio. Qualcuno anticipò la notizia di blocchi stradali, ferrovie occupate, dirottamenti di aerei, file al bancolotto per fare i numeri, una nuova statuina tra i presepi di san Gregorio Armeno con Maradona decollato, la nascita e la diffusione di una nuova pizza dedicata ai giudici della Federcalcio, e battezzata "Scurnacchiate": pomodoro, mozzarella, olive e due peperoncini rossi modellati secondo la secolare sagoma che simboleggia il tradimento.

Una troupe si precipitò all'esterno dello stadio San Paolo con l'intenzione di intervistare un bagarino sotto garanzia dell'anonimato, oscurandogli il volto e modificandogli la voce; in alternativa andava bene un venditore ambulante di bandiere che si lamentasse del danno economico per aver dovuto buttare quelle con i due scudetti stampati; o in mancanza d'altro l'ordine era quello di strappare due parole, meglio se in dialetto, meglio se con un chitemmuorto, a qualche anziana signora sdentata.

Invece la città era deserta. Aveva scelto di vivere una sorta di contro-dieci-maggio. Se un milione di persone trent'anni prima era sceso in strada a fare festa, stavolta lo stesso milione di persone, anche se ormai non più le stesse, aveva deciso di rimanere in casa. Senza mostrarsi, senza esibirsi, senza recitare la parte di sé stessa. Forse qualcuno piangeva, forse tutti, forse nessuno, forse c'era chi se ne fotteva. Non si sa, né mai si sarebbe saputo cosa davvero accadde quel 10 maggio 2017 in cui giunse la notizia. Napoli per una volta si nascose. Decise di tenersi tutto dentro, niente ammuina, e ancora non s'è capito se si trattò di inedita riservatezza o l'ultimo eccesso della città teatro.

Fatto sta che quando dopo tre giorni si rivide finalmente la popolazione in strada, i più felici sembravano i bambini, loro non avevano perso niente, anzi, all'improvviso avevano smesso di essere i soli a non aver visto quelle cose che gli adulti erano fieri di potergli raccontare. Portarono come ogni giorno i loro palloni in strada e ripresero a giocare. Un matto si fermò a guardarne un paio in mezzo Santa Lucia e mormorò una cosa incomprensibile, qualcuno giura di avergli sentito dire meglio così, una città senza miti è una città che deve costruirne. E poi, a dirla tutta, di buono c'era che pure il primo maggio dell'ottantotto - a questo punto - poteva dirsi mai esistito.

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