venerdì 27 gennaio 2017

La notte che Tenco: i giornali, Quasimodo e Gatto


A Sanremo il confronto è diretto, a faccia a faccia, ed è spietato. I divi di oggi, che gli basta un disco per diventare famosi, sono più sereni. E sono agguerriti, non hanno timori reverenziali. Anche per questo il Festival di Sanremo è profondamente mutato, i vecchi si difendono, i giovani incalzano, avanzano con le chitarre urlanti. Le giurie danno ancora ragione ai vecchi. Fino a quando? Il Festival è pateticamente ancorato al passato e con i ragazzi si compromette ma non troppo. Fa coesistere Villa e i Rokes, Dalida e le ragazzine. E’ una vicinanza competitiva? Può darsi, è certo però che le scelte sono ambigue e che la vena si è rinsecchita. L’Italia, a Sanremo, non canta, balbetta [1].
C’è chi dice che il festival è in periodo di stasi, in fase involutiva; si è dilatato troppo, a vuoto, e rischia di sgonfiarsi in fretta o di scoppiare, ancora più in fretta. C’è chi dice, con maggiore ottimismo, che ci sono i segni di una trasformazione radicale. Il primo di questi segni – se n’è già parlato – è la presenza di tanti giovani nelle giurie [2].

sabato 21 gennaio 2017

Quel napoletano di Shakespeare

Luigi Credendino nello spettacolo Mal'essere di Davide Iodice

NAPOLI. To be or not to be. O si’ o nun si’. O sei o non sei, si tormenta Amleto, non più in inglese ma nella sua seconda lingua. “That is ’a questiòne”, con l’accento sulla lettera “o” e la schwa finale “si è cchiù nobbile pe’ ’sta capa o mind / suppurta’ ’e ppetriate o ’e frezze ’e ’sta ciorta / ca parla tuosto or to take ll’arme. Trip muri’ o sleep durmi’”. Qui Napoli, casa Shakespeare. A metà strada fra il rione Sanità e la zona di Forcella, durante le prove nella mansarda del teatro San Ferdinando, il principe di Danimarca parla nel dialetto che incantava Wagner, anche se i tempi di Era de maggio sono lontani perché “il napoletano si trasforma, il rap tronca le sillabe e offre una nuova ipotesi di lingua”. Così dice Sha One, uno dei nomi dell’hip hop cittadino che hanno riscritto Amleto nella loro grammatica. Gli altri sono i Fuossera, Joel, Op Rot e Capatosta, interpreti di una scuola esplosa nella scia dei 99 Posse. Vengono da Piscinola, Marianella, Secondigliano, una porzione di terra spesso sintetizzata sotto il tag Gomorra, e firmano con il regista Davide Iodice l’atteso Mal’essere, debutto il 1° febbraio, produzione del teatro Stabile di Napoli – teatro Nazionale. “Questo Amleto non risponde a un’esigenza di localismo. Non avrei potuto metterlo in scena in italiano”, spiega Iodice, “perché è una lingua con una carenza di visceralità. Il napoletano è invece lingua-corpo, e la cadenza del rap in dialetto è la cosa più vicina oggi al blank verse della poesia classica d’Inghilterra”.

domenica 8 gennaio 2017

Mannheim e i 200 anni della bicicletta


MANNHEIM. In un giovedì di fine primavera, il figlio del giudice di Baden uscì di casa con il peso dei suoi quattro nomi, un titolo di barone che non vedeva l’ora di ripudiare e un attrezzo di legno che fece ridere i passanti. Aveva due ruote, otto raggi, un sellino e l’ambizione di proporsi come alternativa al calesse. Il 12 giugno saranno passati duecent’anni dalla prima passeggiata, e se questo 2017 nasce nel segno della bicicletta, bisogna tornare dove tutto cominciò, tra il Reno e il Neckar, a Mannheim, città che alle strade del suo centro urbano non ha dato nomi ma numeri e lettere. Karl Friedrich Christian Ludwig Freiherr Drais von Sauerbronn partì dal blocco M4, dove oggi sono disposte decine di uffici dentro cubi di mattoni rossi e bianchi, e dove allora, a poche centinaia di metri, aveva abitato la signorina Constanze Weber, andata in moglie a un ventunenne musicista di un certo talento, di nome Wolfgang e di cognome Mozart.