ESISTE almeno un posto in Italia dove il cinismo è bandito, un bambino può parlare agli uccelli e le illusioni sono incoraggiate e vissute. A Mattinella, paesino immaginario dell'Irpinia, nasce Isidoro Raggiola, senza pianti né gemiti: lui fischia. Con Alì, il merlo indiano del paese, il suo migliore amico, imbastisce una lingua di urli e sibili, un "fischiabolario" con cui gli ultimi possano difendersi dai prevaricatori. Una lotta di classe fonica, vocalica, ispirata dall'esempio di papà Quirino, sindacalista strabico e marxista che scrive poesie e lettere d'amore mai spedite: al presidente Pertini (siamo nel 1980), a Johann Sebastian Bach, a sua moglie Stella, che fa la pasta in casa.
È in questo mondo fatato che Enrico Ianniello, attore casertano, 45 anni, ambienta il romanzo d'esordio con riferimenti al realismo fantastico sudamericano e al clima grottesco-politico di certi film di Marco Ferreri.
Una trama in cui la diversità diffusa è norma, e quella quasi disneyana di Isidoro risulta finanche gioiosa, esibita, socialmente approvata. Isidoro gira i paesi per educare le masse, la sua leggenda attira in Italia l'etnologo francese Renò, che lo ribattezza Sifflotin. Ma il mondo nuovo che il suo "fischiocomunismo" attendeva non fa in tempo a giungere, sepolto sotto le macerie del terremoto del 23 novembre. La trasfigurazione si conferma così il modo più felice di raccontare il Mezzogiorno. Qualche compiacimento gigionesco della prima parte si stempera pagina dopo pagina, in una lingua impastata di dialetto, per ricordarci che «tutto passa, tutto si rompe, tutto ci annoia», ma che c'è sempre tempo per fischiare al miracolo della vita.
(la Repubblica, 15 marzo 2015)
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