mercoledì 8 dicembre 2010

mi chiamo john, e vengo da liverpool

Qualche anno fa, con un mio amico pensavamo di scrivere un testo teatrale. Un monologo. In due tempi. Nel primo tempo la voce era quella di John Lennon, che parlava di sé poco prima della morte. Nel secondo era quella di Mark Chapman, il suo assassino. Il testo si badava su brani tratti da documenti autentici. Tipo interviste o l’interrogatorio del Parole Board a Chapman.
Il primo tempo era quasi completo abbastanza avviato. Se vi va, lo leggete su Scribd.
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Forse lavorerò fino a ottant’anni o fino a quando morirò. Anche quando sei storpio, dipingi. Se fossi paralitico, credo che dipingerei. Saper cantare significa cantare fino a quando la gente vuol sentirti, non significa tenere una nota alta o roba del genere. Tutti dicono: lei. Ma lei non ha diviso i Beatles, e se anche l’avesse fatto cosa volete che fossero i loro dischi fottuti? E però lei è una donna. È giapponese. Ci sono pregiudizi razziali contro di lei. È semplice. La gente mi guarda, scuote la testa, mi tocca la mano, e mi dice stai attento. Ehi: è mia moglie!
Lei è importante come Sergent Pepper. Il suo dolore è tale che si esprime in una maniera che vi urta. Come succedeva a Van Gogh: troppo vero. Ferisce.

[continua qui]

4 commenti:

Loffenheim ha detto...

era bella questa idea, perché non è andata avanti?

ac ha detto...

E che ne so. Boh. Ci lavoriamo a tre?

Loffenheim ha detto...

eh, magari. Ma io di John Lennon so solo che è nato, ha cantato ed è morto.

ac ha detto...

Nacchennello