Voleva la luna, ora vuole riunire la sinistra. Ora che ha 92 anni. "Non sono così vecchio di fronte a una scelta del genere". Pietro Ingrao ha una sala stracolma davanti agli occhi, il suo libro di memorie tra le mani e un'idea che si fa largo nella testa. Racconta quanta Napoli c'è stata nel suo cammino, ricorda i compagni di ieri, parla a quelli di oggi e di domani. Se all'appuntamento dell'hotel Ramada ci fosse pure Antonio Bassolino, sentirebbe dalla voce frusciante e ferma del suo maestro d'un tempo di non essere più considerato parte del progetto.
"Fassino e D'Alema sono dei moderati. Non c'è niente di male, ma lo sono. Prodi lo dice e non lo dice. Allude. Invece loro ormai lo ammettono. Non lo nascondono nemmeno". Loro. Cioè la maggioranza che sta portando i Ds verso il Partito democratico. Quella che a Napoli ha il 76 per cento. E allora, coraggio, dice Ingrao all'ala sinistra della Quercia, che aspettate a staccarvi. Un'ala sinistra che è tutta lì o quasi, ad ascoltare il leader di un altro No e di un altro strappo, ospiti dello stato maggiore campano di Rifondazione (Sodano, Tecce) che organizza il dibattito e non sa nascondere dietro i sorrisi quanto freme: "La sala è troppo piccola rispetto a ciò che sta per nascere". Quelli del No: Oddati, Porta, Scotto, Vozza. Presenti. Senza più una sedia libera, deputati e assessori stanno accovacciati a terra sulla moquette. "Dovrà venire una separazione - ragiona Ingrao sull'attualità politica - e allora che la separazione sia la più chiara possibile. Chi è moderato, faccia il moderato. Quelli che dentro i Ds non lo sono, devono dire più nettamente no. Devono dire noi siamo un'altra cosa, e poi devono anche dire che cosa. Sbrigandosi, però. Non si lascia marcire la situazione".
Applaudono, nella prima tappa lungo la strada che deve riportarli insieme, "la costituente di una forza che non scelga aggettivi e che si dica semplicemente di sinistra", dice Andrea Di Martino. L'arrivo a Napoli, un pisolino, il bagno di folla. Sul suo tavolo Ingrao ha i fiori fatti arrivare dal sindaco Iervolino. Non c'è Bassolino (impegni in Regione), ma i Ds "non dissidenti" sono lì con Gianfranco Nappi e la senatrice Carloni. Ingrao stringe le mani degli amici sindacalisti, saluta i cassintegrati Avio, firma la dedica più affettuosa a Giovanni Salomone, un ragazzo napoletano che sta per laurearsi all'Orientale con una tesi "sulla linea dell'ingraismo nel Pci". Sul frontespizio del libro, di suo pugno, Ingrao scrive "al mio biografo". Altro privato viene messo in pubblico da Maria Luisa Boccia, la senatrice che accompagna Ingrao nella sua giornata napoletana: "Se in Parlamento fosse passata la legge sul doppio cognome - dice - oggi mi chiamerei Ingrao Boccia". Di Siena, Donise, Alinovi. Tutti lì. Ingrao sospira e annoda i fili dei suoi ricordi a quelli della sinistra napoletana. "Il Pci aveva inventato a Napoli una maniera di vivere la politica che era straordinaria persino rispetto all'esperienza sovietica. Coi suoi sindaci e coi sindacati". Un riferimento implicito a Maurizio Valenzi. "Sembrava si potesse raggiungere il potere, seppure attraverso il compromesso storico. Non è andata così". E' la città in cui il partito vede prevalere la sua corrente riformista, i miglioristi, li chiamavano così. "Gli ingraiani? Be' , non so se ce n'erano tantissimi. Esistevano altri insediamenti e dislocazioni. Penso a Giovanni Amendola, con il quale ho condotto battaglie furibonde all'interno del partito. Oppure a Salvatore Cacciapuoti, che non era della mia parte, ma su di me esercitava il fascino dell'esule. E anche Giorgio, dico Giorgio Napolitano, con il quale ho un rapporto molto vivo e molto intenso, come quelli che dentro il Pci esistevano anche quando non si pensavano le stesse cose: polemiche, discussioni, differenze. Fuori del partito ricordo De Martino e la sua gentilezza umana nei momenti cruciali. Qui a Napoli abbiamo molto stimolato il cervello e concepito ipotesi di grandi speranze. Era uno dei centri da cui venivano avanti uomini, donne e nuove forze per parlare di una nuova società".
La Napoli dei suoi comizi. "Facevo una prova. Mi fermavo un istante e sondavo la reazione della folla. Se la piazza si sfrangia, non è un bel segno. Se resta immobile e ti aspetta con la bocca aperta, vuol dire che hai fra le mani quel filo misterioso con cui si cattura l' attenzione". La Napoli che cambia ancora, adesso ha il profilo di Bagnoli. Ma Ingrao ne custodisce un'altra dentro. "Non me l'aspettavo, no, una trasformazione così. Bagnoli era per noi una suggestione grande. Era la fabbrica del Sud in un Sud senza fabbriche. Era la forza dei "rossi". Era il mondo moderno. Era il secolo che avanza. Era il fordismo. Era la grande mutazione sociale e produttiva. Insomma, era quel pezzo di Sud che era più avanti di tutti. In quegli anni lì, ricordo che ad Avellino avevo un amico. Un democristiano. Non l'ho più sentito. Si chiamava Ciriaco De Mita". La sua prima visita a Napoli, ricorda, avviene in carrozzella. "Ero bambino. Mio padre Renato era segretario comunale a Santa Maria Capua Vetere. Lì ho fatto la quinta elementare, abitavamo in via Pietro Morelli, vicino il canapificio. Non una famiglia con tanti soldi. Però un giorno decide di portarci a Napoli. In carrozzella. Ricordo tutta la famiglia ammucchiata, tutti sbalorditi e io di più. Due volte mi incantai. Dinanzi al mare e in piazza Plebiscito".
(uscito su Repubblica Napoli il 3 aprile 2007)
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