lunedì 7 maggio 2007

Lo chiamavano Peppiniello

Zucchero e farina, dopo undici anni spesi senza salire in barca. «Mio padre impastava solo a mano, ora abbiamo un macchinario di ultima generazione». Burro, vaniglia e undici anni senza gare con gli Abbagnale. «I clienti che passano di qui mi trovano al bancone col grembiule imbiancato e le mani sporche. Mi riconoscono. Chiedono. Vogliono sapere se sono proprio io...». è lui. è proprio lui. Quello che vinceva medaglie d' oro in giro per il mondo e che chiamavano Peppiniello. «Anche a casa. Peppiniello per tutti».
Giuseppe Di Capua dava la schiena ai fratelloni del canottaggio italiano. «Non mi sono mai sentito in ombra. Quando qualcuno citava gli Abbagnale, sapevo che dentro gli Abbagnale c'ero anch'io». Era il "con" del loro due. Era il ritmo. Col contacolpi tra le mani. Il timoniere. L'uomo che decide se è il momento giusto per accelerare o per controllare il vantaggio su quelli che inseguono, e con gli Abbagnale era quasi sempre così. L'ultima gara è del 5 maggio '96. Un otto. Ora Peppiniello impasta biscotti. «Poi si fanno lievitare e si mette tutto al forno per una ventina di minuti. Vendiamo solo al dettaglio». Una volta si compravano ai caselli dell'autostrada. Biscotti lunghi a forma di sigaro. Quelli di Castellammare.


La nuova vita di Peppiniello, undici anni dopo l'ultima gara di canottaggio, si divide fra l'impiego in Telecom ottenuto nell'87 e le storiche tradizioni dell'azienda di famiglia. Il biscottificio Cascone ha cent'anni di vita. Dal suo orizzonte è sparito il canottaggio. Con dolore. «Non sono uno che va a proporsi». E il canottaggio non bussa alla porta dell'unico italiano ad aver vinto più degli Abbagnale. «Sì, un mondiale più di loro». Uno da aggiungere ai titoli vinti insieme fra '81 e '94: due ori e un argento all'Olimpiade; sette ori, tre argenti e un bronzo al Mondiale. «Il mio titolo in più è del 1982. La Nazionale mi mette in barca pure sull'otto pesi leggeri. Il sabato vinco l'oro con Giuseppe e Carmine, la domenica quello dell'otto». Senza neppure troppi sacrifici per restare dentro i limiti del peso. «Non ho mai sofferto la fame. Restavo abbastanza facilmente fra i 54 e i 55 chili. Preferivo smaltire con qualche corsa in più, anziché rinunciare a pasta e dolci». Le rinunce di Peppiniello sono state altre. L'università. «Ho dato nove esami a giurisprudenza prima di fermarmi». Erano arrivati i remi. «Al circolo mi portò un amico nel '72. Si chiama Catello. Veniva a prendermi alle cinque e mezza del mattino. Fino a quel giorno giocavo a calcio con gli amici. Gli stessi che poi sarebbero venuti in macchina a Lucerna o a Duisburg per fare il tifo, gli stessi che conservo tuttora. Non si sono mai intromessi, non sono mai stati motivo di distrazione. Amici miei e della mia fidanzata d'allora, oggi mia moglie». La signora Sandra insegna. Tre figli: Francesco è in terza media, Luisa al liceo scientifico, Vincenzo a economia aziendale. «Si chiama come mio padre. Il nome più bello del mondo». Il circolo. Lo Stabia. «È lì che ho conosciuto gli Abbagnale. Prima Giuseppe, poi Carmine. Siamo stati vent'anni insieme. Mai un litigio. Mai». Vent'anni fatti di lunghi silenzi. «Specialmente a ridosso della gara non si parlava. Non ci faceva bene. C'era spazio per qualche confidenza, di tanto in tanto. Fuori dagli allenamenti ci vedevamo poco. Già stavamo insieme due volte al giorno, mattina e sera. E poi una pizza vai a mangiarla con gli amici, non con un fratello. Giuseppe e Carmine avevano i loro, io avevo i miei».

Insieme. Fino ai Giochi di Barcellona. Fino alla sconfitta con i Redgrave, inglesi, fratelli pure loro. «Chi arriva secondo o terzo, viene chiamato campione. Per noi un secondo posto era una sconfitta». Estate '92, il giorno in cui svanisce il tris d'oro olimpico. Dopo quella regata non hanno vinto più: altri due argenti mondiali e stop. L'ultimo sfizio fu battere i Redgrave sul lungomare di via Caracciolo, a bordo di una barca di legno, lo yole, nella Coppa Lysistrata, la gara più antica del canottaggio napoletano. «Belle pure le regate delle Repubbliche marinare. Ne ho vinte due con Amalfi, io che sono stabiese. Ho girato il mondo. San Francisco, l'Australia, il Kenya in viaggio di nozze; ma i posti più belli li abbiamo noi. La penisola sorrentina e la costiera amalfitana. Ecco, solo a Parigi non sono stato mai. Non volevo vederla di sfuggita, tra un allenamento e l'altro. Lì bisogna andarci con la passione dentro. Ci vado, ci vado. Con occhi tranquilli».

(uscito su Repubblica Napoli il 6 maggio 2007)

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