domenica 22 ottobre 2006

Un Nobel a Cervinara

Sei righe in francese viaggiano via fax da Stoccolma e si arrampicano fino a Cervinara. E' la "mention honorable" del Nobel per Carlo Bianco, «philosophe et poète de renomance mondiale», uno dei candidati finali al premio per la letteratura del 2006. Quelli che la Fondazione non comunica mai pubblicamente. Non prima che siano trascorsi cinquant'anni. Per non dare l'idea del concorso. Era lui uno dei nomi italiani. Per la seconda volta. Come nel '59. «Quella volta andai». Quella volta era in Svezia solo per stringere la mano al vincitore, Salvatore Quasimodo. «Perché idolatravo la sua poesia». Stavolta no. «Davvero l'hanno dato a uno scrittore turco? Addirittura».

Il suo studio profuma di legno e libri. Carlo Bianco sfoggia 95 anni di incantevole magnetismo. Il patio di casa si apre sabato prossimo all'omaggio di rettori, docenti universitari, magistrati, arcivescovi, politici. E' atteso pure Rubbia. Da un Nobel a un quasi. La Svezia gli ha attribuito la "mention" come creatore della scuola filosofica chiamata "concretismo". «Concretismo perché la filosofia non è astrazione. E' scienza delle possibilità. I grandi filosofi, figlio mio, dicono grandi fesserie. Cogito ergo sum. Falso. Puoi esistere senza pensiero. Come un serpente. L'esistenza è fisica, non è spirituale».


L'esistenza di Carlo Bianco è tra i suoi volumi e i suoi ricordi, tra pareti gonfie di lauree e riconoscimenti. Lo hanno chiamato minatore del pensiero. Perché ci scava dentro, lui, «un credente che non fa il segno della croce». Un credente a cui si illuminano gli occhi parlando della spiritualità di cui è capace l'Oriente. «Se suona la campana di una chiesa qui da noi, a chi importa? Un arabo non tradisce un altro arabo. La taglia su Bin Laden era un'illusione di chi non conosce quel popolo. Fra trent'anni domineranno».
Prima avvocato. «Da me venivano i poveri. Sapevano che non prendevo una lira». Maestro. «Davo lezioni private passeggiando a tarda sera sotto i lampioni». Poeta. Con un percorso lirico compiuto quasi per intero nel ricordo della madre, persa a 4 anni. «In quarta elementare la maestra mi vide coi capelli arruffati. Chiese: perché tua madre non ti pettina? Le lanciai il calamaio contro. Sei in condotta. Avevo uno zio ispettore scolastico, sentenziò: sei nato per portare la "caldarella"». Filosofo. Autore di 50 opere, l'ultima nel gennaio scorso, "Il delirio dell'uomo moderno". «L'uomo non fa che distruggere l'armonia del creato. Nella stratosfera ci sono duemila aggeggi che spiano gli aghi nei pagliai». Un uomo che ricorda il nome della sua compagna di banco alle elementari, la professoressa d' aramaico all'Orientale, la segretaria che lo seguì in missione a Parigi, «e si stupì quando in albergo le dissi: tu dormi al terzo piano, io al primo». Le donne. «Non c'è nulla a questo mondo in cui non c'entrino loro». Consegna ricordi ai suoi figli: Francesco è dirigente Udeur, l'assessore che aprì il San Paolo al rock degli U2. «C'è la speranza e c'è l'attesa. Non esiste traguardo diverso dalla morte: io spero di mangiare bene tra due giorni».

Repubblica Napoli, 21 ottobre 2006

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