Sogni diversi. Diverse sono le radici. Napolitano è figlio della lezione di Giorgio Amendola, compassato e mediatore. Il comunista che per primo guarda alle socialdemocrazie europee e all'America liberal, un feeling intellettuale. Steinbeck, Dos Passos, Faulkner. Il riformismo che gli avversari battezzano migliorismo. Bassolino è l'operaista che si nutre del pathos di Ingrao, aspro e spigoloso. Il movimentista che nel 1985 impone ai vertici del partito la battaglia contro il nucleare. Piace tra gli studenti inquieti, quelli che sono sempre a un passo dalla lite col Pci. Piace nelle fabbriche, anche a costo di pestare i piedi alla Cgil. L'inciso che ancor oggi usa è un copyright del maestro Ingrao, «badate», sembra di sentirlo. Lui e Napolitano, sponde dello stesso fiume. "Tango", l'inserto satirico dell'Unità, nei giorni in cui il Pci vara il dopo Natta, scatta una foto a tutt'e due. Alla sua maniera. Scrive: «Bassolino verrà votato dalle raccoglitrici di olive licenziate del Gargano sud orientale e dai disoccupati non garantiti delle liste di collocamento non ufficiali del comprensorio di Angri. Napolitano è gradito a tutti, se fosse gradito pure ai comunisti sarebbe segretario già da un pezzo».
Invece non ce la farà, lui che era l'erede designato di Longo, e poi di Berlinguer. «Ma somigliava troppo a re Umberto», raccontano con malizia. Intorno a lui Geremicca, Chiaromonte, Macchiaroli, Valenza, Ranieri. Per Amedeo Lepore «un'innovazione politica forte, la sua, di cui si avverte tuttora un forte bisogno. Un esempio a cui guardare con tensione nuova». Anni Ottanta. Le visioni differenti diventano un fragoroso incidente diplomatico. Berlinguer sta apparecchiando un posto a Roma per l'emergente Bassolino. Gli piace la sua grinta. Gli piace che fra il '72 e il '75 come segretario provinciale di Avellino abbia fermato la macchina democristiana del consenso. Sì, c'era già De Mita. Il Pci prepara una segreteria monocolore. Senza amendoliani. Solo che il congresso napoletano esagera. Taglia fuori tutta l'ala destra. Salta il centralismo democratico caro al Pci, la scena del crimine è il cinema Corso. Fuori Minopoli, fuori Marzano, fuori Napolitano. Non la mandano giù. Un mezzo scandalo. Al posto del presidente della Repubblica, al congresso finisce un operaio dell'Alfa, Vincenzo Barbato, oggi nella segreteria Fiom. Bassolino recupera, ma a Botteghe Oscure ci va Occhetto. «Napolitano e Bassolino sono stati per anni le ali opposte del partito, e in perfetta buona fede recitavano la loro parte, ma il copione lo scriveva Berlinguer», la sintesi di Berardo Impegno, che del Pci fu segretario cittadino e poi provinciale, ingraiano e poi occhettiano.
Due ruoli. A volte recitano insieme, come quando il Pci li manda in coppia al Palazzo dei Congressi di Stoccolma, per la prima volta del partito a un'Internazionale socialista. Più spesso sono autonomi. Napolitano apre il dialogo col Psi, Bassolino replica che «con Craxi non è stato un litigio per caso, ma una divisione profonda. Se il Pci deve cambiare, il Psi deve fare altrettanto». L'intervento nel Golfo contro Saddam? Napolitano indica le posizioni della sinistra europea, Bassolino dice no all'uso della forza. Il patto sociale del ' 92? Bassolino accusa il premier Amato di aver rotto l'unità sindacale, e invece i miglioristi accusano lui: «Così il Pds non va da nessuna parte». Insomma, distinguo e precisazioni. Quando il partito cambia nome e simbolo, Bassolino scrive la bozza di programma per Occhetto, 53 cartelle, poi finisce per diventare l'uomo della terza mozione. Oltre il sì e oltre il no. Il "pontiere". Però si isola. Napolitano: «Ero comunista. Ora sono democratico e di sinistra». Bassolino: «Il compagno Napolitano dice che per lui il simbolo è la quercia; per me il simbolo è la quercia con alle radici la falce e il martello».
E' tutta centrifuga, la parabola di Bassolino. Un'anomalia. In un mondo che si legittima a Roma, a lui serve il responso continuo delle urne. Elezioni '87: Napolitano fa il capolista a Napoli contro Scotti, Gava, Craxi e Almirante. Bassolino va a giocare una partita più defilata a Catanzaro. Non la prende bene. Perciò quando la Calabria diventa l'unica regione in cui il Pci cresce, mentre a Napoli cala pure a Bagnoli e San Giovanni, apre il processo alla destra. Veti e controveti. Diretti e incrociati. Funziona così. Se nel '92 Napolitano pensa a Spadolini per il Quirinale, l'area Bassolino si dice pronta a fare barricate. Succede di nuovo nel 2000. Quando i Ds spingono perché il sindaco passi in Regione, ma Napolitano ricorda che c'è un mandato da portare a termine, e che il candidato non è uno solo. «Da amministratore Bassolino cambia. Sfoggia il polso fermo. Mai stato demagogico. La sua non è la sinistra dei capipopolo. Ero convinto che avrebbe saputo interpretare il ruolo: era sbagliato non giudicarlo all'altezza», ricostruisce Antonio Polito, oggi senatore della Margherita. La destra del Pci spingeva per un sindaco in accordo con Segni. Autunno nerissimo, il '93, secondo l' ex cardinale Giordano. La rivolta dei marinai a Mergellina, i batteri nell'acqua, i trasporti pubblici malridotti, il dissesto finanziario, l'emergenza casa. Diventa l'autunno dei sindaci. Quando Bassolino diventa Bassolino. Quando scoperchia la pentola del malaffare, passo dopo passo, contro la "banda dei quattro". «Badate». Viene dalla trincea anti-camorra. Tema a cui si dedicano più di altri proprio i comunisti "centrifughi": Diana, Sales, Vozza. Bassolino scopre nuove passioni. La corsa, e allora addio alle Winston. L'arte contemporanea. Guadagna peso, e quando Napolitano resta fuori dal Parlamento per il gioco dello scorporo, il sindaco invita Prodi a non smarrire quel patrimonio d'esperienza. Napolitano va al Viminale. Da lì dice: «Accendiamo i riflettori sul Meridione, dove i sindaci stanno facendo quello che non è mai stato fatto negli enti locali». Va da ministro in visita al Giffoni Festival e aggiunge che farebbe un film «su come Napoli sta rinascendo».
C'era una volta. Poi c'è altro. La sinistra Ds presenta al Consiglio un documento critico verso le amministrazioni locali: «Recuperare il rigore perduto». Firma pure Napolitano, il presidente che torna nella sua città e coglie «la lentezza di realizzazione dei progetti», oltre che «la annosa questione dei rifiuti ancora penosamente irrisolta». Il comunista che sale al Quirinale e spinge l'ex sindaco Valenzi a dire che «adesso Napoli può uscire dal vicolo mefitico in cui sembrava piegata». La Napoli delle due facce, il sogno e l'incubo. Di nuovo nello stesso letto.
(su Repubblica Napoli il 5 novembre 2006)
(su Repubblica Napoli il 5 novembre 2006)
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