Gaetano Musella |
Eppure va avanti. Ancora serie A, tanta serie B. «Se ci sono riuscito con mezza gamba, dove potevo arrivare con tutt'e due?». Bella domanda. Perciò uno spicchio di quel Pallone d'oro è dedicato ai sogni di chi vuole ancora farcela e a tutti i sogni spezzati. Ci sono calciatori che ricordano i nomi dei loro allenatori preferiti. Ciro Caruso mette in fila quelli di chirurghi, medici e fisiatri. «Mariani, De Nicola, Testa. Se sono andato avanti, lo devo a loro». Perfino i suoi passi attuali incrociano quelli del capitano della Nazionale campione del mondo. Caruso insegna calcio ai ragazzini del rione Loggetta, in pieno mondo Cannavaro. Con la "Pro Calcio Napoli", 230 iscritti, ha sostituito proprio la scuola calcio dell'amico Fabio, traslocata fra Giugliano e Qualiano. Un'altra società l'ha messa in piedi con il comico Biagio Izzo, ai Camaldoli. E fa l'osservatore. «Nelle giovanili del Napoli ci sono già gli eredi di Fabio. Tanti e bravi. No, i nomi non li faccio».
Altri sogni che crescono. Anche se ormai dall'asfalto non passano più. «Andavamo a giocare nel cortile dello stadio. Parcheggi e strisce blu hanno sottratto altro spazio ai ragazzini, e i campi nuovi restano un miraggio», racconta Nino Musella, il genietto di Fuorigrotta, a vent'anni promessa indigena del Napoli di Krol che sfiorò lo scudetto '81. Otto volte in Nazionale under 21, un gol, un talento spudorato. «Potevo fare di più, lo so. Ognuno ha la sua stella. Tutti possono diventare bravi, pochi diventano Cannavaro: un grande». La stella di Ciccio Baiano si è invece illuminata fra le strade di Soccavo e si è spenta a un passo da Los Angeles. I Mondiali americani del '94. «Quando mi rompo legamenti e menisco». Era nel gruppo di Sacchi, due partite in Nazionale. Magari gli cambiava la storia. «Per giocare a pallone oggi devi pagare una scuola calcio. Io stavo in strada col Super Santos e dovevo badare solo alle macchine. Oggi se lasci un figlio in strada, sai che devi preoccuparti di un milione di pericoli in più». Eppure era la strada che insegnava. Ciro Muro, tutto dribbling e punizioni a effetto, 11 partite nell'anno dello scudetto azzurro numero uno. Giocava soprattutto se mancava Maradona. «Le buste dell'immondizia, quand'ero bambino, erano le nostre porte. Si giocava quattro contro quattro dietro le palazzine di San Pietro a Patierno. Le partite finivano quando lo decideva il custode. Veniva e ci bucava il pallone». Lo schiattava, nel calcio di strada si dice così. Anzi si diceva. Dove giochi oggi, se non vuoi seguire il boom delle scuole calcio? C'era una volta la villa comunale, la devozione al dio verde ha espulso il pallone. Non se ne parla in Floridiana, non se ne parla al Virgiliano. Materdei ha perso piazza Ammirato, tagliata fuori dal metrò che avanza. Il Vomero aveva piazza Immacolata. Però resiste la rotonda Diaz. La prova è sulla statua del maresciallo: fra il ventre del cavallo e le sue zampe anteriori è rimasto incastrato un pallone. Sarà per un rinvio sbagliato. Qualcuno si infila in Galleria Umberto, e qui protestano architetti e soprintendenze. Ha intuito qual è il punto Nino D'Angelo, uno scugnizzo, guarda caso. Così ha sistemato due porte da calcio all'esterno del teatro che dirige. Il Trianon. «Venite bambini, parvulos», alla De Gregori.
«Non si gioca più neanche al porto di Baia», il rimpianto di Antonio Carannante, terzino sinistro del Napoli d'oro, 6 volte in Nazionale under 21. Lui palleggiava lì. «Sono cambiati pure i ragazzi. Noi avevamo solo la passione per il calcio. Dove c'era uno spazio, spuntava il pallone. Oggi hai il motorino, il computer e meno tempo libero». E' una città che ha mandato 67 dei suoi ragazzi fra i professionisti di serie A e B: il 72 per cento di loro non è passato dal Napoli. Uno parte dall'asfalto e arriva lì, oppure nel presepe, come Cannavaro, riprodotto in terracotta dall'artigiano Giuseppe Di Virgilio mentre alza il pallone d'oro. «Bambini, credete ai sogni veri». Anche se siete figli dell'erba sintetica.
(Repubblica Napoli, 29 novembre 2006)
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