venerdì 29 settembre 2006

La seconda vita di Carlo

Dedicato a chi dice che non se ne esce. «Se avessi saputo che lavorare è così bello, non avrei sbagliato mai». La sveglia in casa di Carlo Marieniello suona prima che arrivino le cinque. Un autobus lo porta da Volla fino a piazza Garibaldi, un treno fino a Roma. Lì c' è un altro pullman che lo accompagna tra la Casilina e la Prenestina, al lavoro, centralinista in un ospedale. «Madre Vannini, buongiorno». La sua seconda vita. La prima è finita nel '95. «Ero un ragazzo attivo». Cioè? «Fesso non ero». Uno finito nella zona grigia. La sua zona grigia.


«Piccole cose. Contrabbando». Solo che non lo prendevano mai, invece altri finivano dentro. Finché qualcuno comincia a sospettare. Ingiustamente. Finché glielo fanno capire. è diventato antipatico. Finché durante una festa patronale, bum, esplode una bomba carta che chissà come Carlo s' è trovato fra le mani. Non è una storia che racconta volentieri. «L' ultima volta che ho visto mio figlio stava nella culla; da allora sono cieco». Undici anni di buio, ora ne ha 43. Il coma, poi gli portano via i due i bulbi oculari. Dietro gli occhiali scuri oggi ha due protesi. Il viaggio quotidiano da Volla a Napoli, da Napoli a Roma, e ritorno, avviene in compagnia di un cane, un labrador nero. L' ironia è una buona compagna di Carlo. è tutta nel nome che ha dato al cane. Si chiama Guido. «Gli ho insegnato i percorsi. Si fa così: ogni inizio di tragitto deve corrispondere a una meta diversa. Altrimenti il cane va al manicomio. Lui guida me, io guido lui». Carlo risponde al telefono, Guido sta accucciato sotto la sedia. Escono all' alba, tornano la sera. Ogni giorno daccapo. «Non riesco neppure a vedere i miei figli». Dice così. Vederli. «è l' abitudine. Voglio dire: non riesco a fare i compiti con loro. Vorrei». Vorrebbero pure i figli. Tre. Mariarca, Lucia e Francesco: 12, 11 e 8 anni. Volevano scrivere una lettera al Quirinale. «Caro presidente Napolitano, non riusciamo mai a giocare con il nostro papà». Ma papà li ha fermati. «Devo pensarci io. Loro sono bambini». Pensarci, e come? «Lancio un appello al ministro Turco. Oppure a Bassolino. Oppure al presidente della Regione Lazio, Marrazzo: lui denunciava tutti a "Mi manda Raitre". Se non mi capisce lui. Vorrei il trasferimento, già Formia andrebbe bene. A Napoli, poi, sarebbe un sogno. Magari». Ha raccontato la sua storia a Dario Argento, Ornella Muti e Giulio Andreotti. Compagni di viaggio in treno. «Il biglietto me lo pago da solo. L' alta velocità non me la posso permettere tutti i giorni». In ospedale lo chiamano "il computer". «Conosco a memoria tutti gli interni: sono 720. Conosco i numeri di cellulare di gran parte dei 1.200 dipendenti. I miei colleghi devono sfogliare l' agenda. Se vogliono fare prima, chiedono a me. La tastiera Braille l' ho buttata. Non mi serve. Uso quella uguale agli altri. Anche il mio cellulare non è speciale. Un modello comune. Su, facciamo a gara a chi fa un numero più in fretta». Edilizia popolare, una casa arredata con grande dignità. «Attenzione, c' è uno scalino all' ingresso». Le foto del matrimonio alle pareti. «Mi manca il viso di mia moglie. Faceva l' indossatrice. Ha lasciato tutto per me». Il tempo non ha sfiorato la signora Giuseppina. «Alla stazione, all' inizio, mi accompagnava lei. Ora non voglio. Colpa di una brutta avventura. Un giorno l' hanno seguita in macchina. Allora basta. Lei rimane a dormire, io esco». Con Guido. Ma pure con lo stress. Carlo prende fiale di ginseng. «Perché ho paura di perdere questo lavoro. Ho paura di perdere questa seconda occasione, questa seconda vita che mi sono costruito con l' aiuto dell' Unione ciechi». Altre occasioni sono scivolate tra le mani al momento di presentare il certificato coi precedenti penali. «Invece le suore dell' istituto Vannini mi hanno dato fiducia. Hanno sentito il parere di un giudice. Tre mesi di prova, e via tutti i dubbi». Perciò ora vive con l' ansia di far tardi. Di perdere un treno. Di sbagliare pullman. Di incrociare chi non deve. «C' è chi mi prende in giro alla fermata del pullman. Bullismo. Sto zitto, che faccio? Non mi posso difendere: Guido non è aggressivo». L' ansia di un incidente. «Ho messo due volte il piede sul binario e non sullo scalino del treno. Ho urtato la faccia contro un balcone costruito ad altezza uomo. Certo, Guido non parla. Non mi avverte». In treno, almeno, tra pendolari ci si conosce. «Il signor Durante mi aiuta sempre. Come i miei 4 colleghi: Assunta, Carlo, Wanda e Marilina. Sono come fratelli. Ora conosco il gusto di spendere 100 euro guadagnati onestamente».

(uscito su Repubblica Napoli il 28 settembre 2006)

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