domenica 28 maggio 2006

Platone e la legge del pallone

Chi crede che il calcio sia una cosa frivola, lasci stare. Così come chi crede che sia un affare serio. "Platone e la legge del pallone", un po' saggio, un po' racconto, si presenta come «ispirato ad Aristocle da Codro detto Platone, dedicato a Gianni Rivera, riconducibile a Baruch Spinoza, consacrato a Manoel dos Santos detto Garrincha, scritto in omaggio a Bruno Pesaola, e attribuito a Zap Mangusta». Ed è così dall'inizio alla fine, uno slalom senza fiato tra Giordano Bruno e Bruno Giordano, un filosofo e un centravanti; fra Borges e Marcuse, Matisse e i Sigur Ros. è per chi ha ricevuto in dono la curiosità. In una stessa pagina possono stare insieme Enrico Fermi e Claudia Cardinale, Pablo Picasso e Superman, il Vaticano e il boogie woogie. Senza stonare con i possibili rimbalzi infiniti di un pallone. «Perché questa è la vita». Zap Mangusta è un calciatore mancato, uno che racconta di aver superato la delusione sapendo che nei ritiri si respira aria filtrata dalle adenoidi del compagno di stanza.


Ha scritto per la tv ("Radio Zanzibar" e "Barracuda"). E' alla quarta opera dopo "Le mutande di Kant", "I calzini di Hegel", "Il flipper di Popper", ma come dice il risvolto di copertina questo è il suo ultimo libro, «soprattutto se non lo acquisterete». Zap Mangusta si chiama Diego Pesaola, figlio di Bruno, che il mondo del calcio conosce come "Petisso": un argentino che s'è fermato a Napoli per viverci. "Platone e la legge del pallone" è un omaggio al padre. Furbo ma sincero. Non simula mai. Insomma, mai una frase che si butti a terra in area per avere un calcio di rigore. Un libro che sta in bilico tra enfasi e ironia, ingenuità e citazioni. La più bella, Groucho Marx allo specchio: «Trattami bene per favore, perché sono l'unica cosa che ho». Comincia con un dialogo tra fratelli, uno che insegna all'altro i 16 modi possibili di colpire una palla. Il sedicesimo è il colpo che non c'è, e che ciascuno deve inventarsi da solo. Magari di sinistro quando il destro è il piede preferito. Perché? «Perché è il contrario di come si deve fare: semplice. E a volte, questo è quello che va fatto». A volte. Mica sempre. Ogni colpo ha un filosofo di riferimento, un elenco di persone a cui sarebbe consigliato, altre a cui viene suggerito di tenersene alla larga. Esempio. Il colpo di piatto è il più facile. Dunque il preferito di Aristotele, perché dona equilibrio e stabilità. Va consigliato, scrive Zap Mangusta, «a chi crede che Milan Kundera sia un preliminare di Champions League; a chi prende le vacanze dal primo al quindici agosto ma non capisce come fanno gli harekrishna a ripetere per anni le stesse litanie; alle mamme lungimiranti che iscrivono i figli a pallanuoto per via del fatto che almeno tornano a casa puliti». D'altro canto, «non è il colpo più adatto a chi ama Frank Zappa, James Joyce e Ingmar Bergman». Ecco, il libro è così. Geniale e ridondante, luminoso e languido. Imbriglia dentro schemi filosofici i ruoli del calcio, felicemente, perché chiunque abbia portato un numero 3 dietro le spalle sa bene che quello è davvero «il ruolo di chi non ha attitudini particolari pur credendo di averle tutte». Un libro che divide le squadre secondo il loro dna in "combattive" (Livorno e Liverpool: adatte a Spartacus), "seducenti" (Milan e Barcellona: per i Mozart), "volitive" (Juventus e Chelsea: per Alessandro Magno) o "idealiste" (Inter e Real Madrid: per Cervantes). E il Napoli? «Ha perduto lo spirito effervescente che lo contraddistingueva». Se c'è una morale è qui: «La vita è soprattutto un gioco di scambi e di passaggi con gli altri. Chiunque voglia convincerti del contrario, non farà altro che cercare di bucare la tua palla con uno spillone». Comunque fa venire voglia di rivedere una partita. O di andarsi a leggere Wittgenstein.

(uscito su Repubblica Napoli il 27 maggio 2006)

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