Ha scritto per la tv ("Radio Zanzibar" e "Barracuda"). E' alla quarta opera dopo "Le mutande di Kant", "I calzini di Hegel", "Il flipper di Popper", ma come dice il risvolto di copertina questo è il suo ultimo libro, «soprattutto se non lo acquisterete». Zap Mangusta si chiama Diego Pesaola, figlio di Bruno, che il mondo del calcio conosce come "Petisso": un argentino che s'è fermato a Napoli per viverci. "Platone e la legge del pallone" è un omaggio al padre. Furbo ma sincero. Non simula mai. Insomma, mai una frase che si butti a terra in area per avere un calcio di rigore. Un libro che sta in bilico tra enfasi e ironia, ingenuità e citazioni. La più bella, Groucho Marx allo specchio: «Trattami bene per favore, perché sono l'unica cosa che ho». Comincia con un dialogo tra fratelli, uno che insegna all'altro i 16 modi possibili di colpire una palla. Il sedicesimo è il colpo che non c'è, e che ciascuno deve inventarsi da solo. Magari di sinistro quando il destro è il piede preferito. Perché? «Perché è il contrario di come si deve fare: semplice. E a volte, questo è quello che va fatto». A volte. Mica sempre. Ogni colpo ha un filosofo di riferimento, un elenco di persone a cui sarebbe consigliato, altre a cui viene suggerito di tenersene alla larga. Esempio. Il colpo di piatto è il più facile. Dunque il preferito di Aristotele, perché dona equilibrio e stabilità. Va consigliato, scrive Zap Mangusta, «a chi crede che Milan Kundera sia un preliminare di Champions League; a chi prende le vacanze dal primo al quindici agosto ma non capisce come fanno gli harekrishna a ripetere per anni le stesse litanie; alle mamme lungimiranti che iscrivono i figli a pallanuoto per via del fatto che almeno tornano a casa puliti». D'altro canto, «non è il colpo più adatto a chi ama Frank Zappa, James Joyce e Ingmar Bergman». Ecco, il libro è così. Geniale e ridondante, luminoso e languido. Imbriglia dentro schemi filosofici i ruoli del calcio, felicemente, perché chiunque abbia portato un numero 3 dietro le spalle sa bene che quello è davvero «il ruolo di chi non ha attitudini particolari pur credendo di averle tutte». Un libro che divide le squadre secondo il loro dna in "combattive" (Livorno e Liverpool: adatte a Spartacus), "seducenti" (Milan e Barcellona: per i Mozart), "volitive" (Juventus e Chelsea: per Alessandro Magno) o "idealiste" (Inter e Real Madrid: per Cervantes). E il Napoli? «Ha perduto lo spirito effervescente che lo contraddistingueva». Se c'è una morale è qui: «La vita è soprattutto un gioco di scambi e di passaggi con gli altri. Chiunque voglia convincerti del contrario, non farà altro che cercare di bucare la tua palla con uno spillone». Comunque fa venire voglia di rivedere una partita. O di andarsi a leggere Wittgenstein.
(uscito su Repubblica Napoli il 27 maggio 2006)
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