sabato 6 maggio 2006

Le sette vite di Mimmo Pinto

C'era una volta un dubbio. «Tra un ex ministro dell'Interno democristiano e le questioni a cui si dice attento Rossi-Doria, io da che parte dovrei stare, con la mia storia?». La storia di Mimmo Pinto, ex leader storico dei disoccupati napoletani, un cammino con Lotta Continua e due volte in Parlamento negli anni Settanta, prima con il listone Pdup-Avanguardia Operaia-Lc, poi con i Radicali. Da che parte dovrebbe stare, alle comunali di fine maggio, una storia così? «C'è un rischio. Bisogna evitare che la rivincita del centrodestra parta da Napoli. Questa città già soffre. Il Malvano politico non lo conosco. Lo ricordo vicequestore a Portici, la città in cui vivevo, e ha lasciato molto a desiderare. Ecco perché voglio che vinca la Iervolino. Però sono preoccupato. Ho tanti amici che votano per Rossi-Doria».


I Ds gli hanno offerto un posto in lista. «Sono stato contattato dal mio amico Michele Caiazzo, sindaco di Pomigliano. Ma credo che una parola l'abbia spesa Bassolino». Candidato al Consiglio comunale, dove già sedeva nei giorni del sindaco Lezzi. Di nuovo in corsa ora, undici anni dopo le regionali che premiarono Rastrelli, quando Pinto correva con Pannella. «Faccio fatica a calarmi nel nuovo linguaggio. Sento dire: "I voti miei". è aberrante. I voti non sono una proprietà. Sono una gioia e una speranza che la gente dà in prestito. Vanno onorati». Undici anni. La sinistra ha governato Napoli e lui s'è ritirato in campagna, Sessa Aurunca, «dove ti accorgi addirittura che in cielo esistono le stelle, e poi si mangia bene», aggiungendo tre figli alla famiglia. Giuseppe ha 8 anni, dipinge su tela e si chiede se le Dolomiti sono destinate a sciogliersi. «Il guaio è che glielo sento chiedere più spesso che a Pecoraro Scanio». Elvira, 6 anni, una volta se n'è stata tre ore sul pianerottolo con la valigia, pronta ad andar via di casa. «E' il dna». Colomba, l'ultima nata, ha 16 mesi. «Il nome di mia madre. Piaceva a Leonardo».
Leonardo è Sciascia, che gli sedeva accanto in Parlamento. «Nel giorno dell'assassinio di Aldo Moro, di me scrisse che ero l'unica voce veramente commossa nell'aula di Montecitorio. Proprio io che avevo gridato "vi processeremo nelle piazze", maledizione a me». E i diessini che vanno con Rossi-Doria? «Sbagliano. Prima viene Napoli, poi i duelli personali. Rossi-Doria esiste perché è sparito il dibattito politico. E' l'ultima volta che possiamo permetterci una situazione di questo genere. C'è stata assenza di confronto, vero, ma anche il silenzio della società civile. Cancellare le primarie è stato un errore, un momento di miopia dei partiti. Se ci fossero state, avrebbero incoronato la Iervolino, e i temi di Rossi-Doria oggi sarebbero un patrimonio di tutto il centrosinistra». Non vuole un comitato elettorale: «Restiamo nelle sezioni». Non vuole la sua foto sui manifesti: «Vedo candidati di quartiere che sembrano Peròn». Non vuole slogan originali: «Semmai prendo quello del sindaco: "Io ci credo". Ma non deve dirlo lei. E' più credibile se lo dice un altro. Ecco, io ci credo. Senza se e senza ma. La giunta poteva fare di più? Sì, lo so, e lo farà, perché sono state comprese tante cose».
Un'idea gliel'ha data un amico di infanzia. Ricordarsi dei ragazzi che non mettono il casco. E allora: «Sorteggiamo dei computer e 500 viaggi a Londra per chi in un anno non prende multe a bordo degli scooter. Sono cose semplici, eppure alla politica sfuggono. Sfuggono quando il potere si perde in contrasti e litigi interni. Il carcere, altro tema: voglio sapere come saranno recuperati i napoletani che hanno sbagliato. I ragazzi delle periferie non devono sentirsi né mostri né esclusi. A Scampia l'alternativa alla violenza non può essere l'appocundria». Il leader dei disoccupati. «La mia regola: un lavoro non si rifiuta. Ma quando mi offrirono un posto da infermiere ero già deputato, e poi in ospedale svengo». Il volontario delle missioni umanitarie in Bosnia. «Nichi Vendola racconta di quando ci tirammo fuori dai guai offrendo un pacchetto di sigarette ai soldati». Il ristoratore. «A casa mia si mangiava bene. Così un giorno chiamo gli amici e dico: da stasera si paga». Sul serio. Un ristorante abusivo sulla Flaminia. Dove una sera bussa Stefania Craxi. «Papà è preoccupato: ti metti nei guai». Papà Bettino, con cui Pinto aveva legato anni prima in Parlamento.
Due ore senza mai nominare Berlusconi, capolista di Forza Italia pure per palazzo San Giacomo. «Quando lo vedrò in Consiglio, ne parlerò. Se lo vedo». L'hanno invitato da destra a un dibattito sugli anni di piombo. «Ne parliamo dopo le elezioni. Non confondiamo i piani. Tutti i morti di guerra e tutti i morti di camorra mi appartengono». Una storia lunga e una sfida nuova. «Lavoro perché vinca la Iervolino. Almeno cadrebbero tutti gli alibi. Così avremmo un governo amico a Roma, una giunta di centrosinistra alla Regione, alla Provincia e al Comune. A meno di non dare poi la colpa agli amministratori di condominio, ma pure lì credo che qualcuno ce l'abbiamo».

su Repubblica Napoli il 5 maggio 2006

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