C'è una strada che porta il suo nome, la Vicky Bullett Street, in un angolo della West Virginia. «E' la via in cui sono cresciuta». Gliel'hanno dedicata per la vittoria della nazionale americana ai Giochi di Seul del 1988. «Benvenuti a Martinsburg, casa della medaglia d'oro Vicky Bullett», ha fatto scrivere il sindaco ad ogni ingresso della città. Vicky, che nel frattempo è diventata un'elegante signora di 37 anni, ne va fiera. Ma con pudore. «Cosa significa? Beh, innanzitutto che a Martinsburg non sono successe molte cose... Ma io sono felice d'essere ricordata per il resto della mia vita». West Virginia, la terra del tabacco americano, le radici della schiavitù. «Sono cresciuta in un posto di montagna, dove i giovani non sono tanti. Sarà per questo che sono un tipo tranquillo, mi piace la lentezza. Invece, qui al Vomero non ci capisco niente. Per essere puntuale, devo muovermi un'ora prima». Il Vomero è la nuova casa di Vicky Bullett, dove il miracolo Phard cresce domenica dopo domenica. «All'inizio mi scambiavano per una giocatrice di pallavolo». Ora finalmente il Vomero sa d'avere una squadra in testa al campionato di basket ed una campionessa che ha vinto tanto in giro per il mondo: l'oro olimpico in Corea, il bronzo quattro anni dopo a Barcellona, uno scudetto in Brasile col Fluminense. «Se lo vinciamo qui, magari non mi intitoleranno una strada, ma Napoli impazzisce più di Rio».
Perciò il presidente-proprietario Pasquale Panza, con interessi nel settore della sanità, si va attrezzando. I mille posti del Collana basteranno a stento per la super-sfida di domani (ore 18) contro il Parma secondo in classifica, ma potrebbero non essere sufficienti né per le finali del campionato né per quelle della Coppa Fiba, l'Europa del basket femminile. La Phard chiederà di giocare in primavera al Palabarbuto di Fuorigrotta, ma coi progetti è già più in là. C'è un terreno in via Pigna dove punta a costruirsi un palazzetto tutto suo. «Pensavo di lasciare il basket, qualche mese fa. Quando Napoli mi ha fatto la sua proposta, ci ho ripensato. Non ho firmato finché non ho visto chi erano le mie compagne: volevo essere certa delle ambizioni della società», racconta Vicky Bullett, miglior cannoniere e rimbalzista della storia dell'Università di Maryland, dove la sua maglia numero 23 non sarà mai più assegnata: l'hanno appesa al soffitto del palazzetto, la Cole Field House. Unica sorella fra sei fratelli, Vicky ha imparato a far canestro da loro. «Avevo otto anni, non c'erano tante ragazzine con cui giocare a basket. O guardavi le partite dei maschi, o guardavi le Olimpiadi». Don, il più grande di casa, è poi diventato il suo allenatore, fino alla chiamata di Maryland, seguita dallo sbarco nella Nba delle donne, alle Charlotte Sting e poi alle Washington Mystics.
C'è un'altra chiamata, adesso, nella testa della signora Bullett. «Sono tornata a studiare, perché sono pentita della scelta fatta la prima volta. Mi sono iscritta di nuovo al college». Dopo la laurea per insegnare alle elementari, ne avrà un'altra in "Social Work", assistente sociale. «E' il mio nuovo sogno: aiutare i più poveri, o i bambini orfani a trovare una famiglia. Così non dovrò stare chiusa in una classe ad insegnare. Tornerò in America a dare gli ultimi esami alla fine del campionato. E se riesco a tornarci con uno scudetto napoletano, allora sarà la volta buona per dire basta».
Repubblica Napoli, 8 gennaio 2005
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