mercoledì 19 settembre 2018

L'incapacità del calcio italiano di decifrare la nuova dimensione

Cambiano i ct, cambiano i calciatori, ma della Nazionale oggi sappiamo le stesse cose di un anno fa: non vince. Finanche la ricerca delle ragioni è diventata uno stanco rosario di pensieri già pensati: gli stranieri, i giovani che non giocano, la crisi dei vivai. C'è in questa paralisi estrema qualcosa allo stesso tempo di casuale e di ineluttabile.
Casuale perché in questo triennio i club italiani hanno lasciato traccia nelle Coppe e le Nazionali giovanili acceso speranze; ineluttabile perché dopo la mancata qualificazione in Russia, la serie B in Nations League porterebbe altra sfiducia e depressione.

Viviamo dal 2010 alla ricerca di un'identità dentro una dimensione rimpicciolita che non sappiamo decifrare. Il mondo nuovo ha messo in circolo idee e competenze. Chi studia, sa ribaltare tradizioni e gerarchie. Copia modelli, si riorganizza e poi eccelle. Non ci capacitiamo del fatto che i declini esistono e possono riguardarci. Ci sono momenti in cui la storia va da un'altra parte. L'assenza di risultati della Nazionale è solo un aspetto dell'involuzione del paese, alla fine nemmeno il più grave.
Secondo il rapporto Istat 2017 siamo la nazione più vecchia d'Europa e quella con la maggior presenza di giovani scoraggiati. I bambini italiani sono meno affascinati dal calcio rispetto a qualche decennio fa.
Hanno altri indirizzi per i loro sogni. Vogliono fare gli chef o gli Youtuber. Quelli che iniziano ora le elementari avranno un lavoro che forse neppure ancora esiste. Come può un pallone farsi largo nel loro tempo libero solo con la forza del passato? Prima della crisi tecnica viene un cambiamento della società che il calcio italiano non ha capito. Le scuole calcio hanno stravolto il panorama del reclutamento. Per giocare si paga. Il calcio creolo valorizzato dai Mondiali non ci sfiora neppure. I figli delle banlieue non li abbiamo. Trattiamo ancora Balotelli come una morbosa unicità. È l'atletica ad aver attratto i figli degli immigrati. I nostri calciatori non partono, non viaggiano, vogliono il posto da titolare nella squadra sotto casa per cittadinanza. Servirebbe in Figc un centro studi dalla vocazione nuova, se non fosse più urgente avere una Figc che non sia una barzelletta. Il commissariamento guidato da Malagò ha prodotto guerre di potere, dalle iscritte in B al campionato femminile. Le seconde squadre: naufragate. La C non è partita. La A discute di fasce da capitano. C'è pure chi darebbe la presidenza Figc a Marotta, che rivendica per la Juve titoli dalla Figc revocati. Come fare Muhammad Ali capo dell'esercito Usa dopo il suo rifiuto di partire per il Vietnam. Come ha scritto ieri Gianni Mura: questi siamo.

(la Repubblica, 12 settembre 2018)

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