martedì 5 giugno 2018

Marotta, Lotito e il banchetto delle poltrone

Nei giorni in cui era gratuito indignarsi per gli adesivi di Anna Frank, Giovanni Malagò da presidente del Coni si fece sentire con Tavecchio. Gli chiedeva di isolare Lotito: mai più uno così nelle istituzioni, disse, mai più. Con i super poteri del commissario, ora vede la sua Lega mandare proprio Lotito in Consiglio federale, dentro una partita più ampia sui contratti per i diritti tv, a cui Malagò non è certo rimasto estraneo. Lotito che torna in Consiglio è a tutti gli effetti un frutto della sua politica, come il ritorno a galla di Abete con la candidatura alla presidenza. Il calcio italiano sa sempre come sorprendere e gli uomini di potere sanno come far pace.


Marotta, per esempio. Con Lotito era arrivato alle querele.
Eppure, ieri ha stretto con lui un nuovo patto per le poltrone nel governo della Federcalcio. È la stessa Figc di cui Marotta disconosce le sentenze quando brinda allo scudetto davanti alle telecamere, indicando l'etichetta dello spumante con il numero 36, esposto pure nello Stadium. Anche questa è bella: entrare nel governo di un ente deligittimandone gli atti.

Un'incoerenza su cui sono stati disposti a sorvolare tutti gli altri club che hanno votato per Marotta (compresi i tre retrocessi che con la prossima serie A non avranno nulla da spartire), firmando così una nuova dichiarazione di subalternità politica all'egemonia culturale della Juventus.

Come se non bastasse, al banchetto di ieri è stato apparecchiato un coperto nel consiglio di Lega per l'a.d. del Milan, Marco Fassone. Significa che gli industriali del calcio italiano, tra cui nomi eccellenti del capitalismo di questo paese, sentono di poter essere rappresentati dal manager di un club la cui amministrazione è sotto inchiesta dell'Uefa, con la minaccia di esclusione dalle Coppe europee per le ombre quasi impossibili da diradare sulla misteriosa proprietà e per i mille grovigli che esistono fra società parcheggiate nei paradisi fiscali. Senza che la Figc abbia vigilato prima, o detto qualcosa di netto dopo - né con Tavecchio né con Fabbricini - su una vicenda che imbarazza tutto il calcio italiano. Dicevano di volerlo ricostruire e si stanno dividendo i pezzi del Lego.

(la Repubblica, 29 maggio 2018)

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