Questa è la storia di un’altra amica geniale, vicina ad Anna Maria Ortese, di nome Adriana e compagna universitaria di Alda Croce, figlia del filosofo. Ma l’ambiente napoletano non è lo stesso in cui Elena Ferrante farà crescere i due personaggi di Elena e Raffaella, Lila e Lenù, durante il ciclo dei suoi romanzi. Tra la fine degli anni Trenta e l’inizio dei Quaranta, qui siamo in quella porzione di Napoli che trascorre l’estate a Capri. L’aristocratica Adriana Capocci di Belmonte era stata con le braccia sollevate e le gambe divaricate, sulle rocce di Marina Piccola, la misteriosa silhouette per un quadro del futurista Enrico Prampolini, prima di cominciare a frequentarsi con la ragazza che sarebbe diventata l’autrice di
Poveri e semplici, premio Strega nel 1967.
Quel legame viene ora ricostruito nel libro di Sergio
Lambiase
Adriana cuore di luce (Bompiani, 208 pagine, 16 euro), attraverso il diario di lei e alcune lettere ritrovate in casa di una pronipote. Qualcosa era emerso nella biografia della Ortese firmata da Luca Clerici, e delle lettere si erano occupati anni fa i quotidiani. Lambiase ora dà veste e metodo alla materia, a un’amicizia che fu parte della breve esistenza di Adriana, morta di tubercolosi a soli 26 anni. I Capocci discendevano da una famiglia patrizia: principi, astronomi, avvocati, autori di canzoni, eroi di guerra e calciatori d’inizio ’900, quando il pallone era faccenda per la upper class. Il mondo di Adriana è questo: le ville, gli ospiti illustri, Matilde Serao, Salvatore Di Giacomo. Lei è minuta ma esuberante, “lisci capelli tra il biondo e il fulvio, sguardo ironico, eleganza mai scontata”, legge a 18 anni L’amante di Lady Chatterley, vive con “una sorta di malessere, di disagio dello spirito, che la coglie nei momenti più inaspettati”. S’invaghisce del poeta indiano Saumyendranath Tagore, confessa al suo diario un bacio scambiato con Alberto Moravia.
Anna Maria Ortese vive invece i giorni dolorosi delle morti violente di due fratelli, abita a due passi dal molo in cui gli emigranti s’imbarcano per l’America, e quando si imbatte in Adriana scopre complessi e inadeguatezze, finanche cresciute quando le due finiscono per innamorarsi dello stesso uomo, Aldo Romano, storico, ma anche informatore della polizia fascista. La Ortese scrive: “Cara Adriana, io sarei felice se tu che sei a Roma potessi darmi notizie di lui (se è sposato non dirmelo mai mai)”. Sposato no, ma fidanzato sì. Con Adriana. Perciò la lettera successiva della Ortese è feroce: “Mi dovresti chiedere perdono e mi parli ancora della tua felicità. Senti, io t'ho voluto bene come nemmeno tuo padre quando t'accarezza te ne vuole, e tu mi ricambi con tanta volgarità (...). Non scrivermi più”. La malattia di Adriana sarà motivo di rimorso per la Ortese: “Mi porterò in cuore, come un chiodo, le barbare parole che scrissi a te, leggera e dolce come un uccello”.
Il Porto di Toledo, del 1975, sarà il romanzo trasfigurato della loro amicizia spezzata.
(Il Venerdì, 19 gennaio 2018)