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foto da davidefanizza.it |
Negli archivi di una nobile società ancora conservano la relazione di un vecchio campione su una mezzala dalle misteriose prospettive. «Calcia di destro, è bravo, a me è piaciuto, prendetelo». Faccio l’osservatore: così sui campi si presentavano gli uomini che firmavano giudizi uguali a questo, l’ombrello in una mano, la penna nell’altra, ed erano spesso in attesa di diventare allenatori, erano giocatori che avevano appena smesso oppure già fuori dal giro, gente che spesso s’accontentava di un biglietto d’ingresso per lo stadio. Un lavoro da limbo, un impiego in cui veder fiorire il sottobosco. Solo ai prescelti capitava il giorno giusto per essere attraversati da un raggio di luce, come s’accorse Waldemar de Brito ai bordi di un giardino in cui un ragazzino faceva gol a piedi scalzi, e lo chiamavano Pelé; oppure come capitò a Francisco Cornejo, impiegato di banca a Buenos Aires, che in un sabato di marzo attraversò il parco Saavedra e restò fulminato dal sinistro di un bambino di otto anni di nome Diego Armando.