sabato 27 aprile 2013

Ingrao, De Sica e il miracolo a Milano



Si chiude domani all'Ara Pacis di Roma la mostra dedicata a Vittorio De Sica. Tra i documenti svetta un magnifico pezzo scritto nel febbraio del 1951 da Pietro Ingrao per l'Unità sul film "Miracolo a Milano", che aveva acceso polemiche nella parte avversa ai comunisti. Per chi alla mostra di De Sica non c'è andato, il pezzo di Ingrao è qui sotto. 
***
Quando venne presentato Ladri di biciclette, "L'Osservatore romano" uscì con un aspro e insidioso attacco, che non è stato ancora dimenticato. Il film venne definito immorale, ne venne chiesto sfacciatamente il ritiro, con una aspra rampogna alla censura di De Gasperi, la quale ne aveva tollerata la circolazione.


Pretesto banale per l'attacco velenoso furono alcuni tratti di pungente ironia su una confraternita di dame e, mi pare, l'immagine scherzevole di un prete che dava una brusca "carocchia" in testa a Bruno, l'indimenticabile protagonista bambino della vicenda. Ognuno comprese, allora, che si trattava di altro: bruciava ai clericali non la "carocchia" o la colorita satira delle pie dame, ma l'amara, calzante evocazione della Roma borghese e papalina, della Roma di oggi, di De Gasperi e del Vaticano.
Ora c'è Miracolo a Milano, il nuovo film di De Sica e Zavattini. Stavolta anche la copertura, il pretesto sono stati abbandonati. Per nulla fatti prudenti dagli applausi calorosi che hanno accolto la singolare opera nelle prime visioni di Roma e di Milano, i critici dei giornali governativi, i sacerdoti illuminati della estetica borghese, i Catoni che gridano e declamano ad ogni stormir di foglia sulla libertà dell'arte e sulla sua purezza, si sono scagliati contro il film di De Sica e, fra contorcimenti, balbettii, soffiamenti di naso, hanno segnato il loro «pollice verso». E lo dicono brutalmente: il peccato, l'errore, il marcio del film è che esso attacca i ricchi, i plutocrati e difende i poveri, anzi che il film vede la società divisa in ricchi e poveri. Quale scandalo! È un film classista, strilla sbalordito il cacasenno del "Tempo". Quale maliziosa "tendenziosità" verso i ricchi lacrima l'ineffabile Contini sul "Messaggero". E l'uno obietta funereo che vi è un attacco, ahimè, al "sistema economico"; l'altro, coi decreti del Santo Uffizio alla roano, protesta che non è quello il modo di trattare i miracoli. Persino la colomba, la mite colomba miracolosa li spaventa; e avanzano il dubbio atroce: si tratta per caso "di quella immortalata da Picasso"?
Si badi che nel film non è mai nemmeno nominata la parola "classe": e la classe operaia non si vede, non c'è nel film. Al centro della storia è un nucleo di sottoproletariato, un gruppo di diseredati e declassati, che più miti nelle loro rivendicazioni non potrebbero essere. I "barboni" di Miracolo a Milano chiedono di poter mantenere almeno una baracca di latta, un rottame di tubo come abitazione, in quella squallida landa della periferia milanese: che terribile, "rivoluzionaria" rivendicazione avanzano i poveri di Miracolo a Milano! Nemmeno questo è consentito di chiedere nell'Italia di De Gasperi e dei critici vaticaneschi. La lotta che i "barboni" conducono è la più candida e ingenua che possa rappresentarsi: prima che si decidano a respingere con il tortore le bombe e le autoblindo della Celere hanno pregato con tanto di cappello in mano davanti al ricco Mobbi. - Ohibò, strilla il critico del "Popolo", perché non vanno a lavorare? A Milano essi avrebbero trovato certamente da lavorare.
A tal punto i gazzettieri di questa borghesia hanno perduto la testa e il pudore dinanzi alla candida favola di De Sica e Zavattini. La verità è che essi sanno che quella non è favola, ma bruciante ritratto di una realtà, immagine lacerante di una condizione reale esistente nel nostro Paese, atto d'accusa alla "loro" società, al sistema che essi difendono con le unghie e con i denti.
E la verità gli brucia. La prima considerazione che si può fare è questa: così marcia e debole è la società di costoro, che essa non tollera nemmeno gli attacchi e le critiche ai suoi aspetti più vergognosi e desolanti. Anche una favola sulla miseria dei "barboni", anche una denuncia delle prepotenze più ottuse e ripugnanti della plutocrazia mette in pericolo questa società ed è una minaccia all'"ordìne". Tale è la libertà di critica e di autocritica di cui è capace l'Italia di Agnelli, di Baracco e dei fratelli Perrone. E De Sica allora diviene un sovversivo, Zavattini un pericoloso marxista. Si domanda: ma chi hanno allora con sé questi pontefici del regime clericale, se sono costretti a respingere e a trattare da nemici chi solo tenta di puntare il dito sulla piaga purulenta, sulla ferita che sanguina, inequivocabile dinanzi agli occhi di tutti? Se De Sica è un sovversivo e Zavattini un marxista, quali allora sono le forze culturali di cui dispongono costoro, che pure proprio in questi giorni vanno cianciando di una «crisi» fra gli intellettuali legati alla classe operaia e al popolo lavoratore?
Vuoi dire dunque che la crisi è nelle file altrui, nelle file dei corifei della "civiltà occidentale" dove non c'è più posto nemmeno per le fantasie poetiche di Zavattini e le umane denunce di De Sica. Quanto a noi non abbiamo bisogno dì far passare per marxisti De Sica e Zavattini per concludere che Miracolo a Milano è una degna battaglia combattuta per un mondo più giusto e per una nuova arte italiana.

SE TI E' PIACIUTO LEGGI ANCHE
Il primo amore di Vittorio De Sica
Il film mai girato di Eduardo e Pasolini

Segui Il divano sul cortile su Facebook

Nessun commento: