martedì 19 febbraio 2013

Il tele allenatore Vilanova


Alle otto del mattino, ora della East Coast, il paziente Tito Vilanova mette il cappotto, attraversa la 2nd Avenue e varca le porte del Memorial Sloan Kettering Hospital. Reparto di oncologia. Due ore di radioterapia al tumore alla ghiandola parotide, il dottor Timothy Chan che gli chiede come va, lui che risponde meglio, grazie, ci vediamo domani. Poi come ogni mattina torna a casa e si mette ad allenare il Barcellona. A 7mila chilometri di distanza. Dall'appartamento preso in affitto per due mesi nell'Upper Side, New York, dove si cura. È da lì che guida la squadra. Un tele allenatore.
Il paziente Tito Vilanova s'è costruito una panchina virtuale dall'altra parte del mondo, un po' per non lasciare sola la squadra, un po' per non sentirsi solo lui. Non ora che il tumore s'è rifatto vivo. Ha tutto quello che gli serve per controllare il Barcellona da un salotto in America. Un televisore, un computer, la banda larga, una web cam. Se il suo assistente Jordi Roura lavora sul campo con questa macchina da calcio spesso paragonata alla perfezione virtuale della playstation, è Tito che tiene in mano il joystick. Funziona così. Alla Ciutat Esportiva, dove il Barcellona si allena alle 11, hanno piazzato telecamere dentro le torrette dei riflettori. Catturano gesti, spostamenti, schemi. Immagini che finiscono nei portatili di tre uomini dello staff tecnico: Alex Garcia, Domenec Torrent e Carles Planchart. Guardano il materiale girato, scartano il superfluo, montano 70-80 minuti di video. Un'ora dopo la fine dell'allenamento, quando l'Europa pranza e New York si sveglia, il file è in America. A Tito Vilanova basta schiacciare il tasto play, e il suo Barcellona è lì. Da lui è più o meno mezzogiorno, in Catalogna pomeriggio inoltrato. Vilanova osserva, prende appunti. Questo mi piace, questo no. Qui fate così, là cambiate in questo modo. La riunione non si fa nello spogliatoio, si fa su Skype. L'ultima telefonata, poco prima di mezzanotte, arriva da Carles Rexach, che al Barcellona è stato 8 anni il vice di Cruyff, responsabile della squadra durante i giorni difficili dell'infarto all'olandese. Uno che insomma conosce i risvolti psicologici di questa situazione. Dal 2004 era ai margini, eppure la chiamata serale a Tito è sua. Senza contratto. Per fede. Altrimenti non si direbbe més que un club. 

Domani sono due mesi. Tito ha ricominciato a combattere il tumore il 19 dicembre. Senza fare misteri, fu il Barcellona a darne l'annuncio. Aveva appena diffuso gioiose fotografie di Messi, Xavi e Puyol bambini, le loro facce sui cartellini delle giovanili. Con Vilanova lontano, il peso dei senatori è cresciuto. In Spagna la chiamano autogestione. Secondo qualcuno è cresciuto pure il rischio che tornino le faide dei tempi di Rijkaard. «Sciocchezze», respinge Xavi, «noi capitani siamo il coro, Jordi è il cantante». Jordi. Quel Roura che però rigetta il ruolo di leader. «L'allenatore è Tito, io sono il suo secondo. Il mio lavoro è fare in modo che non se ne avverta la mancanza». Sabato sera durante la partita con il Granada, Catalunya Radio ha svelato in diretta il contatto continuo tra la panchina  e Vilanova. Whatsapp, ecco come. L'applicazione che ogni adolescente conosce. Messaggi attraverso la rete. Nulla di proibito, nulla di sconveniente, Vilanova non è mica squalificato. Non c'è imbarazzo neppure in Roura. Ed è tutto esibito dal magnifico apparato della comunicazione barcelonista. È stato Vilanova a dare un turno di riposo a Puyol e Iniesta, così da risparmiarli per il Milan. Sempre lui da New York ha suggerito i cambi. Poi, certo, di là passa Messi, fa due gol e ti risolve la serata.

Negli Usa Vilanova prepara anche il futuro. È appena stato da lui il ds Zubizarreta. È abitudine del club arrivare a marzo con i piani di mercato pronti. Tito non voleva che il suo tumore fosse di peso. La malattia è una compagna di viaggio, non un ostacolo. «Tito passa le sue giornate a guardare partite, non ne ha mai viste tante come in questo periodo», racconta Zubi. L'appartamento non è distante dall'ospedale. Così non perde tempo. Con lui ci sono Montse, da 21 anni sua moglie, e un medico del club. Carlota e Adrià, i figli, sono in Spagna a studiare. Ogni tanto passa Guardiola a salutare. A Barcellona sperano di riavere Vilanova in panchina per il ritorno con il Milan o per la semifinale di Coppa del re contro Mourinho. Quel posto adesso è vuoto. Non solo metaforicamente. Così come Vilanova s'era rifiutato di sedere sulla poltroncina di Guardiola (la prima a sinistra), ora Jordi Roura e l'assistente Aureli Altimira lasciano libera la sua (la seconda). Perché vanno bene Skype e Whatsapp, va bene la tecnologia, va bene tutto, ma senza le emozioni del calcio che te ne fai?
(Repubblica, 18 febbraio 2013)

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