C'è un monologo inedito di Massimo Troisi nascosto in mezzo a un mucchio di cassette. La voce è conservata in un vecchio nastro di quelli che si arrotolavano con le matite, non c'è nessuno al mondo che li usi più. "Sta lì, in quella pila, in mezzo alle altre decine e decine". Senza un'etichetta. Tutte uguali. "Chissà qual è. Devo avere un po' di tempo per cercare quella giusta". La casa romana di Carlo Verdone è piena di piccole gemme così. "Ne ho una con Fellini che mi chiama, in un'altra ho ritrovato la voce di mio padre. Niente di macabro. È che registravo e conservavo musica negli anni Ottanta, avevo l'abitudine di accumularne veramente parecchia. Poi ogni tanto capitava che mi finisse la cassetta della segreteria telefonica e non ne avessi una bianca, allora dovevo per forza riciclarne una usata". Successe pure la sera che a casa Verdone chiamò Troisi, e adesso servirà un'operazione di archeologia sonora per individuare la Basf giusta con il monologo che nessuno ha mai ascoltato. Uno scherzo fatto all'amico Carlo. "Stavo andando a casa sua, Massimo sapeva che aspettavo una telefonata importante e che da me avrebbe risposto la segreteria. Si mise là e me la scaricò. Parlando di fila per 30 minuti con un nastro. Diceva: Carlooo... egghià Carlo... rispunne... lo so che staje là... Carlooo... e dai Carlo nun fa accussì. Mezz'ora di seguito. Ma lo fece con una padronanza della voce, con una variazione di toni e di sfumature, da altissimo teatro. Tanto che l'ho conservata per tutti questi anni. È una lezione di recitazione". Prima ancora si trattava di una vendetta. Verdone racconta: "La settimana prima uno scherzo glielo avevo fatto io. Camuffai la voce e dissi che chiamavo da parte del sindaco di Trieste, mi presentai come l'assessore alla cultura e con una proposta: cento milioni di lire dell'epoca per alcuni monologhi. Lui all'inizio non rispondeva, io andai avanti, lui alzò il telefono, e per cinque minuti ci cascò pure. Poi mi venne da ridere, mi riconobbe. Disse: nun te preoccupa', poi ci pens'io".
Ora quello scherzo telefonico, quel monologo, quella lezione - come la chiama Verdone - è uno degli inediti su cui lavorano gli autori di "Un poeta per amico", programma che Raiuno manda il 5 maggio in prima serata, interamente dedicato a Troisi, diciotto anni dopo la sua morte improvvisa, il cuore già debole che lentamente si fermò mentre riposava in casa di sua sorella. Enzo Decaro, compagno di percorso ai tempi della Smorfia, oggi popolare volto da fiction, sarà il conduttore della diretta dall'Auditorium Rai di Napoli, città a cui non smetterà mai di mancare quello sguardo posato a metà strada fra la speranza e il disincanto, quella battaglia di Troisi contro i cliché, i tic e i luoghi comuni: la Napoli da sempre obbligata a essere un'altra da sé ("solo Napoli deve cambiare? Cambiate un poco Mantova, Rovigo, Aosta"), la Napoli così incapace di sfuggire alla gabbia retorica di pizza e spaghetti, al punto da spingere i suoi abitanti a consumare gnocchi di nascosto. "In questi anni - dice ancora Verdone - mi sono domandato molte volte cosa avrebbe detto ancora sulla sua città, quale meravigliosa invenzione avrebbe tirato fuori per raccontare alla sua maniera, con la sua ironia unica, il dramma dell'immondizia o la malapolitica. Di una cosa sono certo: è stato il più grande monologhista che lo spettacolo italiano abbia mai avuto".
Mai hanno lavorato insieme. Si incrociarono giovani nel '78 sul palcoscenico di "Non Stop", quando era la Rai e non Zelig a scoprire e lanciare i nuovi comici, quando Bisio lo faceva Baudo. "Ma da allora fino all'ultimo giorno non c'è mai stata una volta in cui abbiamo parlato di un progetto comune. Eravamo amici e basta. Lui era riservato, chiuso, si apriva con poche persone, esclusivamente dentro casa sua. Io ero tra quei pochi che riuscivano a portarlo qualche volta al cinema, tipo alle tre del pomeriggio, per non restare prigioniero della folla. Forse ci frequentavamo proprio perché non gli ho mai proposto niente: facciamo questo, facciamo quello, mai. E poi io non c'entravo veramente nulla con il suo mondo artistico, un mondo molto napoletano, totalmente immerso dentro un umore e un'ambientazione con cui avevo poco in comune. Il nostro era un incontro privato tra due personalità forti, anzi la sua molto forte, più della mia. E le sue grandi performance stracciavano chiunque".
Fino alla nomination per il premio Oscar con "Il postino", miglior attore protagonista, benché non recitasse in inglese. Un'impresa doppia, nel film finito di girare 12 ore prima di morire, il 4 giugno del '94, un sabato pomeriggio, uno di quei giorni in cui ogni napoletano saprebbe dire dov'era quando l'ha saputo. "Quel film annunciava l'addio al suo pubblico", per Verdone è il più bello interpretato da Troisi. "Una recitazione sommessa, la sua naturale logorrea si fece equilibrata, ridotta. Gli diede credibilità, ma il dolore gli si leggeva in faccia. Su quella sua faccia bellissima, intelligente e proletaria. Pensando al Troisi del Postino non mi viene una parola diversa da capolavoro. Non so cosa avrebbe fatto dopo, non so cosa sarebbe diventato, dove sarebbe arrivato. Un bravo attore in genere dura trenta anni, poi la sua maschera cambia, arrivano nuove generazioni, eppure io oggi in giro ancora non vedo nessuno alla sua altezza, non vedo un osservatore così raffinato della realtà. Certo, la grande commedia all'italiana che ha preceduto la nostra generazione poté occuparsi anche dei grandi temi della storia. Noi abbiamo raccontato l'evoluzione della donna nella società italiana, l'inadeguatezza del maschio, il modo in cui sono cambiati i rapporti familiari, oppure con la fede e con la religione. Ma uno con tutto quel talento, io non l'ho rivisto più".
(Il Venerdì, 27 aprile 2012)
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