Arriva sempre questo momento. Quando il livello di immondizia lungo le strade di Napoli s'accosta, accarezza o scavalca la quota psicologica di duemila tonnellate, bisogna starne certi che il momento arriva.
E' un attimo. Ma frantuma la barriera d'indifferenza alzata intorno alla munnezza dalla sovra-esposizione dell'evento. Infarinata nell'assuefazione mediatica, calata e alzata nel grado zero dell'attenzione e dentro il livello alfa della noia, l'immondizia torna improvvisamente commestibile con un rilancio di indignazione che sarebbe da consegnare allo studio di qualche sociologo. Era capitato nel 2008, a dicembre scorso, e pochi giorni fa di nuovo.
Succede quando il mondo si accorge che i rifiuti sono arrivati addirittura sotto casa di Sofia Loren.
Lei non c'entra, chiaro. E' bello che Sofia Loren faccia sentire forte la sua voce addolorata, una volta da Ginevra, una volta da Londra. E' il segno di un senso di appartenenza a una comunità che si manifesta in un momento difficile, insomma in uno di quei periodi in cui certi napòlidi (cfr. Erri De Luca) potrebbero essere tentati di ammacchiarsi. Non lei. La Loren si espone.
Ma più che luogo di una dolcissima memoria privata, quella casa di Pozzuoli non è. A meno di non volerla considerare la capanna di Betlemme di una comunità. Una comunità che di nuovo cammina fra i rifiuti depositati sotto il liceo dove studiò il presidente Napolitano, sotto la casa in cui visse Benedetto Croce, sotto la tomba di Virgilio e quella di Giacomo Leopardi, sotto la taverna in cui beveva Caravaggio e sotto il conservatorio che ospitò Mozart. Un tour maleodorante e nero, un percorso di passi perduti fra buste e sacchetti, lungo il quale viene da chiedersi perché mai non dovrebbero stare pure sotto casa di Sofia Loren.
* il titolo del post si riferisce a questa scena qua
1 commento:
Splendido post
TFM
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