giovedì 12 maggio 2005

L'uomo che ha visto i manifesti della sua morte

Un uomo ha visto la sua morte stampata sulla saracinesca del proprio bar. «Chiuso per lutto». Un manifesto nero, con il nome, il cognome e l'età del morto. Giuseppe Mattiello, 69 anni. Un messaggio classico, nella lingua del racket. C'erano scritte pure l'ora e il luogo del funerale, le cinque e mezza del pomeriggio, nella chiesa di San Filippo Neri, a Lucrino. Mancava la data, però. Perché non esiste il lutto e non esiste il morto: rimane la minaccia. «Che scherzo è?», si chiedono baristi, cassiere e dipendenti del Caffè Grajales, il bar di Monteruscello dov'è comparso l'annuncio.


Ma uno scherzo non sembra. Ieri pomeriggio il manifesto è finito dai carabinieri. Altri due fogli identici sono spuntati sotto la chiesa delle presunte esequie e sotto casa dell'uomo. Sono bastati un computer ed una stampante per preparare il falso lutto. Ma i carabinieri non partono da zero. Le telecamere a circuito chiuso montate all'esterno del bar sono riuscite a riprendere frammenti dell'episodio, avvenuto di notte. Un fascio di luce, un'auto che arriva nel buio. E' una monovolume, sembra grigia e di produzione francese. Le immagini sono in bianco e nero. Una persona che scende, certamente una donna. Si guarda intorno e sistema il manifesto, si sbriga in poco meno d'un minuto. Non sa che ogni suo passo, pure quella lieve incertezza iniziale, è registrato. L'hard disk dell'impianto può conservare la scena per i prossimi 10 giorni, ma già oggi un tecnico specializzato la tirerà fuori e con un software fra i più banali saprà renderla più chiara. Nella caserma dei carabinieri di Monteruscello non aspettano altro che darci uno sguardo. «Quel manifesto mi porterà bene. Vedrete, vivrò più a lungo». Don Peppino, il defunto che morto non è, resta sereno. Non ha perso la voglia di scherzare, solo che adesso gli è anche venuta voglia di capire. «So che tutti stanno pensando al racket, ma io non voglio crederci, non posso... Con me nessuno s'è mai fatto avanti. Mai una telefonata anonima, mai nessuno che abbia abbassato la cornetta quando l'alzavo io. Sarebbe successo...o no?», chiede per convincersene. Gli inquirenti sanno che non vuol dir nulla, troppe coincidenze negli ultimi tre mesi.
Tutto comincia col furto del fuoristrada di casa Mattiello, un Cherokee quasi nuovo, 126 chilometri di vita. L'altra auto di famiglia se la cava con qualche graffio provocato ad una fiancata. Le solite chiavi che grattano la carrozzeria per minacciare. Un giorno, ed è storia di un mese fa, l'aspettano al portone per rapinarlo. «Mi hanno sfilato 400 euro, credevano che avessi con me l'incasso del bar. Quella sera erano armati, ne sono certo. Presero pure le carte di credito, per fortuna feci in tempo a bloccarle». Tutti episodi regolarmente denunciati. Ora il manifesto. Un linguaggio già noto. Ad un collega di don Peppino, a Fuorigrotta, il racket organizzò addirittura il finto funerale: carro e quattro cavalli neri, in corteo davanti al suo negozio. «Non ho chiesto maggiore protezione, non ho intenzione di assumere una vigilanza privata. Perché dovrei aver paura? Sono sconsolato, questo sì. Siamo caduti in basso. Mi chiedo che fine hanno fatto il mio paese e la mia città. Non li riconosco più». La sorpresa di don Peppino è quella di un uomo tornato a Napoli nel 2003 dopo 46 anni trascorsi negli Stati Uniti. Era un manager della British Airways a New York. «Non era questa la mia città». L'aveva lasciata nel '57, adesso scopre che persino la nostalgia provata da lontano, per una vita intera, era un inganno. I dollari messi da parte sono stati investiti nei due bar di famiglia, fra i più in vista dell'area flegrea. Vetrine eleganti, pasticceria di qualità, una gestione chic, affidata al figlio di sua sorella. «Con il mondo del racket e delle estorsioni - dice il nipote Salvatore - non abbiamo mai avuto contatti. Mio zio è molto noto nella zona, una persona benestante, evidentemente qualcuno l'ha preso di mira. Certo, ormai gli episodi stanno diventando troppi». Il manifesto è stato scoperto dai primi dipendenti arrivati al bar, alle sette del mattino, l'ora dei cornetti caldi. La chiave di tutto, ora, è nel film registrato dalle videocamere a circuito chiuso. Già prima di poterne disporre, i carabinieri sanno di dover partire da una donna. Per sbrogliare il mistero cominceranno a cercarla tra le persone vicine a don Peppino. Se è il racket che s'intromette negli affari di un uomo invidiato da tanti, sanno che un prossimo avvertimento può essere alle porte.

Repubblica Napoli, 11 maggio 2005

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