sabato 9 aprile 2005

Il reality del wrestling


I BUONI si chiamano "face", i cattivi sono gli "heel", e la gente che guarda, sbraita e insulta deve solo scegliere da che parte stare. Tanto è già tutto deciso, secondo le trame previste nello spettacolo più artificiale del mondo, il wrestling, lotta e circo, rissa da saloon e "strascino" da vicolo, più finto d'una parrucca bionda, eppure vincente con la sua impostura, nel momento in cui ogni show freme invece per nutrirsi di reality.
In 9.000 si metteranno in fila, tra domani e domenica, per vedere cos'è stato deciso che accada sotto il tendone del Palapartenope, tappa napoletana d'un tour campano già passato da Eboli. Con due date esaurite, i gladiatori dell'adipe hanno dovuto aggiungerne una terza, per accontentare chi era rimasto senza biglietto, soprattutto bambini, meravigliosamente attratti da questo paese dei balocchi fatto di ginocchiate in faccia e sedie nella schiena. «è come un cartone animato, dove persino le cose più truci ti scivolano addosso senza lasciare traccia. è questo il segreto del wrestling, uno dei tanti prodotti spacciati dalla tv in cui non capisci se quel che accade è vero o finto», prova a spiegare Pino Maddaloni, oro olimpico di judo, uno che quando lotta, lotta davvero. Domiciliati in quella terra di nessuno che esiste tra Buffalo Bill e Spartacus, addestrati soprattutto a non farsi male, i giganti dello smack-down sono il fumo negli occhi per chi vive di sport. «Se nella boxe un guantone ti sfiora appena, la faccia diventa una melanzana. Ti alleni duro, fai sacrifici, e ci sono tre spettatori a bordo ring. Questi non si fanno niente, beccano soldi a palate e hanno la folla intorno. Se ci penso, impazzisco», ragiona Patrizio Oliva, campione mondiale di pugilato vent'anni fa.

In questa gigantesca recita, dove si può lottare per una corona mondiale o anche solo per appropriarsi di un soprannome altrui, tra faide e nozze gay, ciascuno dei colossi ha una menzogna in cui calarsi, se non addirittura un' intera biografia posticcia. Il feroce Rikishi, il californiano d'origine samoana che sarà la stella a Napoli, è forse l'emblema d' una vita da "wrestler". Ha combattuto nascosto da una maschera facendosi chiamare Sultano, poi col nome di Strizzacervelli; s'è visto sfracellare una noce di cocco sulla testa, ed è stato scoperto colpevole d'aver investito un avversario con la moto. Per copione. Di vero e di triste c'è che ora, a 185 chili, un mangiafuoco l'ha messo fuori dal grande giro, e lui cerca gloria per il mondo. Il wrestling è la strada meno anonima scelta da Johnny Hugger, barista americano accoltellato all'età di 19 anni, diventato The Bull, il toro. Lo stesso Italian Warrior, il guerriero italiano, non farebbe lo stesso effetto col suo vero nome, Roberto Pilla, quarantaquattrenne gondoliere di Venezia che un tempo si divertiva al massimo col rock and roll acrobatico. Ma dietro quest'improbabile velo di vite simulate, restano i face contro gli heel, i buoni di qua e i cattivi di là, forse il solo bisogno di verità che il wrestling divide con il mondo, il più antico e il più banale, sempre lo stesso da Caino e Abele in poi.

(Repubblica Napoli, 8 aprile 2005)

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