lunedì 21 febbraio 2005

I pugni di Patrizio Oliva


Una croce d'onore, in un quadretto, in cornice. C'è scritto "Dalla Repubblica, per meriti sportivi". E sulla stessa parete, di fronte al camino a legna nell'elegante soggiorno di casa, c'è un'altra croce, in un altro quadretto, in un'altra cornice. "Dal re in esilio, per meriti sportivi". «Le tengo esposte tutt'e due, non si sa mai». A cercare il segno d'un pugno sulla faccia di Patrizio Oliva, si può perdere anche una vita, ma un lampo basta a tirarne fuori l'arguzia, il patrimonio più prezioso dei napoletani migliori. Se non ce l' hai, non parti da Poggioreale e arrivi in cima al mondo. Lo chiamavano sparviero perché stremava la preda e la finiva, le girava intorno e la logorava, il corpo a corpo era uno schema per altri. «Io boxavo per vincere, non per mostrare il coraggio o per dare spettacolo. Dovevo farmi spaccare la faccia per divertire la gente?». No che non doveva, se non serviva. «Solo una volta mi sono guardato allo specchio senza riconoscermi. La sera del Mondiale a Montecarlo contro Sacco. Ero gonfio, ne valeva la pena». 

E' valso l'encomio di un re e di un presidente, ma pure una vita appartata. «Non mi sono mai sentito tanto solo quanto nei giorni da campione. Sei famoso, scopri d'avere un mucchio di gente attorno, e non sai chi è. Ero sempre in giro, a Napoli sto più spesso ora che quando ci vivevo». Oliva ha preso casa nel centro di Formia, dove s'era già trasferito anni fa per seguire la Nazionale come commissario tecnico, uno dei suoi mille lavori. Ha fatto l'operaio, l'assessore, il telecronista e l'assicuratore, l'attore in un film con Mario e Sal Da Vinci ("Napoli, storia d' amore e di vendetta", 1979) e ha inciso un disco per la Ricordi. Ha fatto il manager, l'arbitro, il maestro e fra un po' il ristoratore: a febbraio apre "Il sole marino", 12 tavoli da gestire con la regia della moglie Nilia, un angolo libri, una mostra permanente di scultura del maestro Donati, musica dal vivo con gli allievi di Karl Potter. «Il mio primo impiego fu in una fabbrica di reti per materassi. Alla saldatrice. Una sera tornai a casa che non riuscivo a tenere gli occhi aperti. Il guaio è che per il dolore non riuscivo a tenerli neppure chiusi. I vecchi della fabbrica lo dicevano: vedrai, succederà. Quando succede, devi metterci delle fettine di patate sopra». Quanto bastava a papà Rocco per portar via suo figlio da lì. «Non si viveva nel lusso, però mi disse: ti pago io la settimana. Non compromettere la boxe».

Il primo e unico pugile napoletano campione ai Giochi, il primo e l'unico a diventare pure campione del mondo. «La palestra era in via Roma; per arrivarci dovevo prendere 3 pullman, con la borsa sulla spalla, e spesso senza biglietto in tasca. Gli amici sfottevano: 'addo vaje? Tornavo alle dieci di sera, e loro sempre seduti fuori al bar. Sono passati vent'anni, e se torno adesso, stanno ancora là». Oliva voleva scappare da una vita qualunque. «Mi ha salvato il carattere» . Veltroni lo nominò ambasciatore dello sport scolastico, ora Buttiglione ne ha fatto il responsabile nazionale per le politiche giovanili dell'Udc. «La politica mi piace». Ex assessore allo sport a Formia, ragiona da ministro della Giustizia: «Ai ragazzi sbandati va data un'occasione. Io dico che il primo reato non dovrebbe finire sui carichi pendenti, altrimenti è un bollo per sempre. Quale imprenditore, oggi, ti dà un lavoro con la fedina sporca? Certo, a parole, in tv, sono buoni tutti a promettere, ma poi?». Cinquantanove match da professionista, e ne ha persi solo due. Gli uomini che l'hanno battuto si chiamavano Coggi e Mc Girt. Sette difese europee e due mondiali fra i superleggeri, due difese europee e un assalto mondiale tra i welter. Tutto questo dopo l'oro olimpico a Mosca, dove gli diedero anche la coppa Valbaker, miglior pugile dei Giochi. La stessa che è nel salotto di Nino Benvenuti e di Teofilo Stevenson, la stessa che è sfuggita a Cassius Clay e Ray Sugar Leonard. Oliva aveva battuto l'idolo dell'Urss, il kazako Konockbaev. «L'ho reincontrato qualche anno fa, facevo il telecronista, lui era sindaco di Alma-Ata. Organizzò una festa in città per accogliermi: ogni volta che ci vado mi coprono di onori». Ma l'ultima volta, al ritorno dall'ex Urss, Oliva s'è trovato le critiche addosso. Come al solito. «Ho debuttato là come arbitro internazionale. Qualcuno ha sollevato questioni d'incompatibilità con l'attività di manager. Hanno chiesto la mia radiazione. Invidia, credo. E' tutto in regola, invece: in Italia faccio il manager, all'estero l'arbitro». 

E' abituato. Sotto accusa come pugile: «Impazzivano per Nino La Rocca. Se avessi fatto io le sue scenette, mi avrebbero tirato le mele appresso». Sotto accusa come commissario tecnico: «Specialmente nell'ambiente napoletano. Speravano che avrei favorito i ragazzi nostri, e invece spesso erano proprio i più lavativi e maleducati. Con loro mi arrabbiavo il doppio». Sotto accusa come manager: «Ho fermato all'angolo un mucchio di match per non mandare nessuno al macello; altri hanno spedito dei ragazzini in coma. Sono fiero di non aver mai venduto carne umana». Perciò Oliva s'è inquietato, quando il giorno prima d'una riunione, scoprì che sul ring avrebbero mandato suo figlio, Ciro. «In questo sport non puoi cominciare a vent'anni, contro avversari che alle spalle hanno già 40-50 match più di te. E' un rischio». Ma Ciro è andato avanti, ora è vice campione universitario, matricola di ingegneria biometrica. «Meglio se studia». Lo sport di Alessandra, la figlia di 17 anni, è la spada: campionessa d' Italia cadetti a squadre. Marzia, 13 anni, recita Brecht, mentre Martina ha tutto il tempo per decidere. Per ora, a 6 anni, s' arrampica sul tavolo in cucina. «Martinaaaa, scendiiii. Come rispondo alle critiche? Le sfido. Trovate un maestro al mondo più bravo di me e io smetto».

Non ha smesso ancora. Otto ragazzi appartengono alla scuderia Oliva & Cotena, vivono tutti insieme in una casa a Formia. «E la domenica si mangia da me. Chi vuol sapere quanto sono bravo chiamasse Massimo Ranieri. Doveva interpretare a teatro il pugile francese Marcel Cerdan. Insegnami la boxe, mi disse. 'Na parola, a 49 anni. Muoveva i piedi da ballerino, cioè il contrario di come fa un pugile. Pesava 83 chili, arrivò a 71. Un fisico pazzesco, l'ho ringiovanito. Non aveva mai messo i guantoni, io l'ho allenato con la Nazionale che preparava l' Olimpiade di Sydney. Otto mesi così. Ha imparato i passi, la tecnica, l'agonismo, e faceva 15 giri di corsa in pista. Tutti pensavano che da ragazzo avesse fatto il pugile. Ancora oggi in casa sua c'è il sacco per l' allenamento. Quando rivelò al regista Patroni Griffi che io sapevo cantare, volevano dare a me il ruolo di Jack La Motta. Ma ebbi paura di dimenticare le parole durante lo spettacolo. Gli avrei fatto fare brutta figura. Si fecero promettere che avrei accettato in caso di una versione per il cinema». Non se n'è fatto niente, ma i lavori di Patrizio Oliva aumentano lo stesso. A marzo è in tv, con una parte in "Un posto al sole". Poggioreale è lontana. «Senza la boxe forse starei anch' io buttato fuori a un bar». A guardare in faccia una vita così, pensi che i pugni fanno bene.

(Repubblica Napoli, 20 febbraio 2005)

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