sabato 26 maggio 2018

Il portiere che posò nudo vincendo al fianco di Pelé

Molto prima dei qatarioti che a Parigi vogliono aggiungere Buffon al loro album di stelle internazionali per vincere la Coppa dei Campioni, i discografici dell'Atlantic e i dirigenti della Warner raccoglievano stelle ai Cosmos per promuovere il calcio negli Stati Uniti.
Quarant'anni fa erano i primi, o si dovrebbe dire gli unici.
Andarono a prendersi Pelé e calciatori da 14 paesi differenti, ma il portiere no, il portiere era un ragazzo americano che faceva di tutto per non smentire i cliché sull'estetica e la psicologia del ruolo. Si chiamava Shep Messing, veniva dal Bronx, si era laureato ad Harvard, e in quella squadra di celebrità Beckenbauer, Chinaglia, Carlos Alberto - rimase fino al giorno dell'ultimo trionfo di Pelé, fino alla partita d'addio del brasiliano al calcio che valse il titolo del 1977. Contro Seattle.


Al tramonto americano di O Rei è dedicato L'ultimo spettacolo di Pelé, documentario di Emanuela Audisio e di Matteo Patrono, in prima visione domani alle 21.15 su Sky Arte HD (canale 120 del decoder Sky). Il racconto degli ultimi 90 minuti del primo calciatore globale, arrivato negli Usa per un matrimonio di interessi, con un contratto da "performing artist", uomo di spettacolo, 6 milioni di dollari per 3 anni, molto più di quanto guadagnassero all'epoca sia Kareem Abdul-Jabbar sia il presidente Gerald Ford.

Shep Messing invece aveva firmato il suo seduto al tavolo di un Burger King, e dai Cosmos si era fatto cacciare quando per portare a casa qualche dollaro in più aveva posato nudo per una rivista di sole donne. Nel documentario racconta: «Pensavo che nessuno avrebbe comprato la rivista e che io avrei incassato 5.000 dollari. Ero disinibito. Il general manager mi licenziò per aver violato una clausola sulla moralità. Mio padre era avvocato. Vincemmo la causa. Dissi loro che avevo fatto più pubblicità io al calcio calandomi i pantaloni che tutta la squadra in cinque anni».

Da avversario aveva parato un rigore a Pelé. Cinque anni prima, lui ebreo americano, aveva vissuto con la nazionale Usa di calcio lo shock del massacro al Villaggio olimpico, 11 atleti israeliani uccisi dai terroristi di Settembre Nero. Aveva appena preso 7 gol dalla Germania Ovest «ma facendo 63 parate» come disse al Guardian. Messing salì sul primo aereo e tornò a casa.

Racconta nel documentario: «Un giorno vado da Pelé e gli dico: ehi Pantera, voglio farmi un biglietto da visita con scritto: ho giocato con Pelé nei New York Cosmos. Ti va bene? Ha riso come un matto. Ho aggiunto: guarda che non voglio che tu ti faccia un biglietto su cui scrivere che hai giocato con Shep Messing. Scherzavamo fra di noi sugli avversari che si azzuffavano per avere la maglia di Pelé».

Il film segue il percorso dell'ultima indossata dal brasiliano, verde, il numero 10, nella sera della sua ultima partita. Finì a un giovane difensore, Jimmy McAlister, un liceale di Seattle che da allora ha resistito alla tentazione di metterla all'asta e che ancora oggi la conserva al sicuro, mostrandola ai ragazzi delle giovanili nel club in cui fa il direttore tecnico. La maglia della finale ai Mondiali del '70, finita dopo la partita a Roberto Rosato, è stata venduta per 260 mila euro.

(la Repubblica, 19 maggio 2018)

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