lunedì 8 giugno 2015
De Laurentiis e il Napoli che non sa cosa vuole
Mentre la Juve giocava la finale di Coppa dei Campioni, il Napoli incontrava il suo nuovo allenatore, Maurizio Sarri, uomo preparato, colto e circondato di simpatia diffusa per le sue idee e il suo modo di porsi. Le due cose quasi non sembrerebbero avere alcuna relazione apparente, se non fosse per il fatto che negli ultimi due anni il Napoli è stato il solo club che ha portato via dei trofei (una Coppa Italia e una Supercoppa) alla squadra più forte d'Italia e vicecampione d'Europa.
Andato via Benítez (peraltro al Real Madrid), De Laurentiis s'è trovato a gestire la scelta del nuovo allenatore senza Riccardo Bigon, il ds, e peraltro in coincidenza di una dichiarazione secondo cui certe figure di raccordo fra la proprietà e l'area tecnica appartengono al passato. Il riformismo e la modernità, si sa, sono da sempre dei pallini del presidente del Napoli, club che però non ha un campo suo. Non di stadio si parla, ma di campo d'allenamento. Ha fissato la sede nei locali sotterranei di un albergo in provincia di Caserta e le squadre giovanili fanno il giro della Campania per trovare un po' d'erba. De Laurentiis s'è trovato a gestire questo momento quasi da solo. Gli ha tenuto compagnia e fatto da bussola un contesto di grande confusione, un ambiente che aveva più premura di processare e condannare per il quinto posto e i 54 gol subiti che voglia d'apprezzare i due trofei vinti e un processo di internazionalizzazione (balzo fra le prime 20 nella classifica Uefa), compiuto grazie a una semifinale europa dopo 26 anni. Punti di vista: d'altra parte negli ultimi nove mesi il San Paolo è riuscito a fischiare sia l'ex Cavani sia il suo erede Higuaín.
In mezzo a questa ammuina, De Laurentiis s'è prima lasciato tentare da Mihajlovic, per il suo profilo da sergente. Striglia i giocatori, li punisce, non li lascia liberi alla vigilia delle partite, questi milionari privilegiati e pigri. Poi è volato in Spagna (lui, di persona, in avanscoperta: non ha mandato un uomo di fiducia giacché non gliene sono rimasti) pensando di chiudere con un blitz un accordo triennale con Emery a quasi 4 milioni l'anno, dando evidentemente l'idea di voler proseguire e rilanciare il percorso avviato da Benítez. Preso in faccia senza imbarazzo il no di Emery, si è allora indirizzato su una figura che si direbbe di pacificazione ambientale, un Prandelli o un Montella, in entrambi i casi ottimi gestori di spogliatoio, propensione a un calcio moderno, discreta esperienza anche internazionale. Alla fine, colpo di scena, ha preso Maurizio Sarri. Che non è un sergente alla Mihajlovic, non è internazionale alla Emery, non è esperto quanto Prandelli e Montella. Ha un anno di serie A alle spalle e il suo lodatissimo Empoli ha vinto 8 partite su 38, prendendo appena due gol in meno dei 54 del Napoli, ma soprattutto 11 più del Chievo. Lo stesso Sarri qualche settimana fa ha risposto in questo modo a chi gli chiedeva un parere sulla possibile applicazione dei suoi metodi in un grande club. "Mi rendo conto che la mia filosofia è difficilmente riproducibile dove ci sono 23 stranieri su 25 in rosa". Una frase che non prevedeva il Napoli nel suo orizzonte. De Laurentiis ha preso lui. Non è ancora chiaro con quali obiettivi e con quanta convinzione. Se Sarri è una scelta dettata da un'esigenza di ridimensionamento, da una nuova vocazione al pauperismo e alla decrescita, tutto torna: ognuno fa calcio secondo le proprie possibilità. Ma se Sarri è il nuovo progetto tecnico di un presidente che l'estate scorsa parlava di scudetto per una squadra (la sola d'Italia) che da sei anni si qualifica per le Coppe, fatta salva l'incertezza dell'azzardo, allora non si comprende perché il contratto debba avere la durata minima di un anno. In sostanza questo ragionamento si può racchiudere tutto dentro una sola domanda, priva di risposta. Qual è l'idea del Napoli che ha De Laurentiis dopo il tanto deriso Benítez?
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