"E poi Praz racconta delle sue collezioni come metafora della solitudine".
Ma anche il suo, Mughini, sembra un libro, se non sulla solitudine, sull'isolamento.
"Vero. Il mio isolamento è totale, orgoglioso e supponente. In questa casa entrano sì e no quattro o cinque amici".
Isolamento da cosa?
"Avverto una sproporzione dannata tra l'eco dei ricordi e il presente. Mi sento lontano da Grillo, dalla Santanché, dai forconi che bloccano le autostrade, da una classe politica che compera mutande e profumi, da un mondo in cui tutto avviene su Twitter e su Facebook".
Non le piacciono i social network?
"È una questione di cesura generazionale, credo. In termini di discrezione, non racconterei neppure a mia sorella dove sono stato ieri sera a cenare".
Nel libro lei raccoglie anche una serie di articoli scritti per la rubrica "Uffa!" apparsa sul Foglio tra 2005 e 2006. La sfida delle 1400 battute di allora è così lontana dalla comunicazione in 140 caratteri?
"In 140 caratteri si riesce a scrivere che Tizio è scemo. Basta. Dov'è la profondità? E poi io sono abbastanza noto, dovrei gestire discussioni, insulti, risse... Soprattutto c'è il limite della gratuità. Che valore ha il pensiero se in rete non ha un prezzo?".
Per uno che si dice isolato, non sarebbe una maniera di far circolare le proprie idee?
"Far sentire la mia voce non è un'urgenza. Ho questa casa a cui badare, una compagna con cui vivo, abbiamo un cane. Mi manca solo Twitter... Stare lì due o tre ore al giorno a partorire 60 tweet. Se proprio voglio dire qualcosa, preferisco scrivere un articolo. Nonostante il mio isolamento professionale".
Eppure lei paragona la carta stampata di oggi a un'illusione ottica.
"Sei quello che di te scrive Wikipedia", annota. "Ho i capelli bianchi, la nuova generazione che tiene il timone dei giornali non la conosco. Amici e simpatizzanti non ne ho più, o forse non ne merito".
Cosa ne è del "partito mughinista indipendente" di cui si proclama unico iscritto?
"Sempre equi-contrastante, come scriveva La Capria nel suo magnifico La mosca nella bottiglia. Né di qua né di là. Io non ho mai avuto neppure un accento. Padre toscano, madre siciliana, per anni a Roma. Ma sono italiano. Odio e amo la Sicilia, Roma e l'Italia".
Equi-contrastante in giorni di larghe intese?
"Ho dato il mio voto a Monti, nel partito mughinista dopo un ampio dibattito interno abbiamo giudicato positive alcune cose fatte, abbiamo ingoiato rospi amari. Un governo indispensabile, non per rilanciare il lavoro e rincuorare il Paese, ma per tenere in piedi la baracca. Non avevo valutato che Monti si sarebbe sciolto al contatto con il sistema dei partiti".
Lei non è il solo ad aver rotto con la sinistra. Perché si sente più di altri emarginato?
"Perché sono stato il primo a farlo, a farlo poi con la forza di un libro che aveva un titolo definitivo: Compagni, addio. Ma non sono stato mai mai mai dall'altra parte. Ho votato una volta Berlusconi alla Camera nel 1994. Contro Spaventa, votai per un borghese liberale".
E tuttavia non si è sentito uomo di quella parte?
"Da Panorama mi sono dimesso per contrasti sulla linea verso il Pifferaio, su Libero ho scritto in grande autonomia. In vent'anni mai un articolo d'appoggio a Berlusconi, nemmeno di dileggio. Tanto ce n'erano a cascate".
La politica oggi?
"Non capisco il decreto legge che si accanisce contro le pensioni d'oro, lo stop al finanziamento dei partiti che manda gente in cassa integrazione, Renzi che convoca riunioni alle sette del mattino. Alle otto e mezzo sarebbe cambiato qualcosa? Vedo questa masnada di grillini, ragazzi a cui ai miei tempi, a fine assemblea, gli avresti chiesto di andare a spegnere la luce. È un mondo pieno di gente che vuole menare sciabolate nel giardino altrui".
Cosa è rimasto della sua formazione di sinistra?
"L'idea che in una società ci debbano essere posto e diritti per tutti. I ricchi e i poveri, i giovani e i vecchi, gli etero e i gay. Ma ho capito che la società non la cambiano i partiti".
Nel libro mette in fila i 51 libri italiani più belli degli ultimi 100 anni. Perché cinquantuno?
"Un vezzo. Volevo battere le sfumature di grigio. Fanno tutti parte della mia collezione, edizioni rare, scelte intime: come i Canti Orfici che nel 1914 al Comune di Marradi mio padre batteva a macchina sotto dettatura di Dino Campana".
Amori e collezioni. Ma se potesse scegliersi un pezzo mancante, meglio l'introvabile calendario Pirelli del 1966 o i due scudetti revocati alla sua Juventus per Calciopoli?
"Ah, ah, ah. Sceglierei il maledetto calendario Pirelli, il solo che mi manca. Perché i due scudetti li ho comunque qui, come due croci sul cuore".
(Repubblica, 30 dicembre 2013)
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