lunedì 9 dicembre 2013

Dove le strade non hanno nome: la recensione di Marino Niola


"Dietro il Congo è all'altro pizzo di Napoli". Senza una scuola, una cassetta della posta, una palestra. La gente attacca fogli di carta al posto delle targhe stradali, poi il vento d' inverno se li porta via e allora bisogna ricominciare a nominare quella periferia dell' uomo, quel buco nero della cittadinanza
È la Napoli di Angelo Carotenuto che, nel suo primo romanzo, Dove le strade non hanno nome, racconta proprio una città in bilico tra due nomi volati via col vento. Tangentopoli e Rinascimento. Un momento in cui tutto il tempo è sospeso sulla lama di coltello di una settimana di luglio del 1993, alla vigilia del concerto degli U2 al San Paolo. Siamo tra il crollo della prima Repubblica e le speranze del bassolinismo. In questo time out della storia si incrociano, come in un istante messianico taroccato, i destini dei personaggi. Il politico di lungo corso, un metro e novanta di scaltrezza, che buca la pancia al territorio.


Carmelino, che ha 14 anni e una passione smisurata per i vulcani, proprio come i Vesuviani di Goethe e della Cvetaeva. E Gerri Ghibli, una versione metropolitana di Hermes ctonio, il messaggero divino che fa l'intermediario con gli inferi urbani. Carluccio Passamano, un personaggio da "Reality" che ancora non sa di esserlo. Moderato Petrone, che per campare si traveste da pupazzo. Personaggi grotteschi, volutamente oltre la barriera della verosimiglianza, per essere all'altezza di una realtà paradossografica come quella partenopea. A fare da scenario dell'azione ci sono il disastro ambientale, l'acqua inquinata, la nuova camorra dei colletti bianchi. Con la musica che non solo funziona da leitmotiv, ma sincronizza scene, accadimenti e azioni, in una sorta di post-produzione narrativa. "The Edge diede tre colpi di plettro alla chitarra, la segretaria al telefono mi intimò Salga, e io obbedii". Del resto è proprio una canzone di Bono e compagni, Where the streets have no name, a dare il titolo al libro. Ma per il gruppo irlandese, le strade che non hanno nome significa che siamo tutti uguali. Mentre nella Napoli di Angelo Carotenuto anche le vie sono figlie di NN. Infatti non conducono da nessuna parte, anzi sono fatte per far perdere chi ci passa e chi ci abita. Come quel lungo viadotto che si chiama asse mediano, senza un rettilineo, "così tutti ci hanno mangiato di più". I trentatré chilometri più mortali d'Italia, tenuti insieme da ottocento giunti che con la pioggia diventano paludi e sabbie mobili. Questo "cesso di strada, questo spurgo della decenza", dove i pochi cartelli rimasti al loro posto provvedono a mandarti da un'altra parte, è il budello di Gomorra. L'immagine spaziale di un metabolismo fuori controllo. Il racconto di Carotenuto non fa prigionieri. La sua scrittura ad altezza d'uomo, in presa diretta sulle persone e sui luoghi, si cala in un margine che è sociale ma anche linguistico. Alzo zero e total black. E spalanca, attraverso una inesorabile slow-motion letteraria la scatola nera di un Sud fatto di terre di nessuno. Ma che sono preda di tutti.
Marino Niola

(uscito su la Repubblica il 9 dicembre 2013)

Nessun commento: