giovedì 14 marzo 2013

Gli altri prossimi giorni di David Bowie

E visto che dopo dieci anni abbiamo un meraviglioso disco di David Bowie da sentire e risentire all'infinito, vale la pena andare a ripescare una cosa del '93, una conversazione pubblicata dalla rivista quadrimestrale Panta di Bompiani tra Bowie e lo scrittore Hanif Kureishi, che all'epoca non aveva ancora tirato fuori Intimacy e The Mother, ma aveva appena esordito con Il Budda delle periferie, e comunque aveva scritto le sceneggiature di My Beautiful Laundrette e Sammy and Rosie vanno a letto.

Prendetevi 5 minuti, ne vale la pena.

(Ehi, bambini, David Bowie è quel signore che stanno provando a farvi odiare con lo spot a ripetizione nelle partite di serie A - Oh we can be heroes, just one day - ma non ci riusciranno, bambini, vero?)


***

David Bowie e io abbiamo frequentato la stessa scuola, nella periferia meridionale di Londra. Anonimo David Jones, se ne stava lì, in una fotografia di classe appesa accanto alla presidenza. Il padre di Peter Frampton fu il nostro professore d'arte. Nel mio romanzo Il Budda delle periferie, Charlie Hero è folgorato da David Bowie e si tinge i capelli. Bowie era stato un Mod e, per breve tempo, un hippy. Poi condusse molti di noi tra gli spazi interstellari. Poco tempo fa mi sono procurato tutta la sua opera su cd; la varietà e la qualità sono straordinarie. Ci siamo incontrati in uno studio di registrazione e, pochi giorni dopo, siamo andati a cena. Bowie emana glamour. I suoi modi sono impeccabili; è pieno di immaginazione, e si esprime con una precisione rara. A che cosa dovevano prepararti gli studi che hai fatto?

"Disegno, grafica, illustrazione o qualcosa del genere. L'arte come carriera. Penso che alcuni dei miei compagni si siano dedicati all'arte con scarsi risultati. Ma la maggior parte si impiegò in piccole agenzie pubblicitarie. Ed è stato così anche per me. Mi pare che Owen mi abbia fatto avere due o tre colloqui dopo la scuola. Uno in una agenzia pubblicitaria a Bond Street, la Nevin D. Hurst, una società dello Yorkshire che stava tentando il grande salto nel mare di Londra. Erano dei pubblicitari. Facevano la pubblicità a un impermeabile e a un biscotto dietetico chiamato Aids".

Sì, mi ricordo... E' stato ritirato dal commercio di recente.

"Lo so, lo so. Quando gli diedero il nome pensavo 'Chissà per quanto andranno avanti con questo fottuto biscotto dietetico'".

Lo pensavo anch'io.

"Mi ricordo che facevo dei collage... Ero uno junior visualizer. Era una qualifica importante. Ma in realtà facevo solo dei collage. E non ho mai avuto l'occasione di dimostrare quanto valevo veramente, perché l'agenzia pullulava di talenti e ce n'era uno in particolare di nome Ian che era un fanatico di Hooker. In un negozio di Soho trovai l'album di John Lee Hooker e uno di Bob Dylan. Acquistai due copie di entrambi, e, dato che Ian mi aveva fatto scoprire John, gli regalai l'album di Dylan. Scoprii questi due artisti in un giorno solo. Fu qualcosa di magico. Quei due musicisti...".

Li avevi già ascoltati prima?

"No, era la prima volta. Avevo più o meno sedici anni, eravamo nel ' 57... No, no, nel '63".

E quell'album di Dylan?

"Era il suo primo album, quello dove c'era la sua fotografia con il berretto in testa. Era un ritratto bellissimo".


Così ascoltavi John Lee Hooker e Bob Dylan.

"Sì, e la cosa fantastica è che li ho scoperti tutti e due lo stesso giorno. Una cosa da pazzi. Prendi Dylan. C'era qualcosa di così intelligente in quella sua voce roca e sgranata. Ed era difficile non esserne catturati. Ho continuato a guardare le foto e ad ascoltare quella voce e non riuscivo a trovare alcuna corrispondenza tra l'una e l'altra. Non potevo capire come quella voce potesse provenire da quel...".

Ragazzino?

"Sì, da quel ragazzino dall'aria innocente...".

Com'era la Londra di quel periodo? Sentivi i cambiamenti che stavano avvenendo?

"Sì, di notte. La notte era qualcosa di fantastico; c'erano tantissimi gruppi da vedere; per esempio, a Soho ogni locale ospitava un concerto".

Ma quali locali frequentavi?

"Fammi pensare... Il primo club importante che ho frequentato era il Kilt, perché era uno dei pochi club che ospitava James Brown. Era pieno di francesi, sembrava un club francese a Londra. Come sai i francesi hanno scoperto il soul molto prima di noi, poi è diventato di moda. E un amico di nome Jeff Mc Cormack in quel momento impersonava il tipico soul boy. Fu quella la prima ondata dei Mods perché, se ricordo bene, ce ne furono due. Una nei primi anni Sessanta, ci si vestiva con pantaloni sopra le caviglie e calze fluorescenti".

Mi ricordo...

"C'era la moda dei vestiti italiani. E' in quel momento che sono diventato un Mod. Chiesi a mio padre di comprarmi un vestito da Burton a rate. Una giacca molto stretta, pantaloni molto aderenti e attillati, un paio di Denson High Pointers. E il fazzoletto che spuntava dal taschino era tenuto in piega da un cartoncino cucito all'interno".

E il fatto di truccarti deriva da questa esperienza?

"Può darsi, mi trucco ancora. La prima volta lo feci per sembrare un vero Mod".

E come la prese tua madre?

"Be' , lei... Non lo so, non era d'accordo, comunque non ha mai cercato di impedirmelo".

Era difficile essere un Mod a Londra in quegli anni?

"Sì... però io non sono mai stato picchiato... Un mio caro amico invece sì, e duramente. A me non è mai accaduto. Sono stato fortunato, non so perché. Avevo un fascino particolare... sapevo di non dover reagire alle provocazioni, a frasi come ' finocchio di merda' , e altre cose del genere. Io lasciavo perdere, me ne fregavo, la sola idea di litigare mi infastidiva".

Ci sono state delle pop star inglesi a cui ti sei ispirato?

"Syd Barrett dei Pink Floyd. Penso fosse diverso dagli altri, unico".

Così, durante la tua adolescenza, quando andavi a scuola, avevi già un progetto preciso. Pensavi: voglio fare qualcosa di diverso, non voglio fermarmi qui. E non ti è mai passato per la testa di andare a lavorare in una banca o di diventare un avvocato?

"No, mai, mai. Io sento di assomigliare molto a Charlie, un personaggio del tuo Budda delle periferie. Non è che io mi sia identificato totalmente in lui, tuttavia mi riconosco in alcuni aspetti della sua personalità. Charlie possiede la stessa determinazione che io avevo alla sua età. Ero convinto di diventare l'Elvis Presley inglese. Già a otto, nove anni pensavo: 'Sarò la più grande rock star dell'Inghilterra'. Era il mio chiodo fisso. 'Posso farcela, sono sicuro', dicevo (...)".

Sì, è davvero strano. Da piccoli non si ha il senso del futuro. Non si pensa mai nemmeno al giorno dopo, figurarsi, se si pensa a qualcosa che potrebbe accadere dieci anni più tardi.

"Già".

Il fatto che tu avessi fin da allora un progetto ben preciso mi interessa molto. Fin dalle prime interviste che hai rilasciato hai insistito sulla tua determinazione.

"Vero".

E su quanto non ti piacciono le persone che non si impegnano.

"Proprio così".

Poi ritorni a pensare "ma avevo veramente quella determinazione quando ero giovane?" Che cosa ti muoveva?

"Di certo molta della mia ambizione ed energia viene dalla volontà di sfuggire a me stesso, e da questa sensazione di inadeguatezza e di vulnerabilità, dal fatto di non sentirsi amato. Un senso di rifiuto, pura autocommiserazione. Ho rifuggito questi pensieri buttandomi anima e corpo nel mio lavoro. Interpretando personaggi diversi. Sono stato la prima rock star a trasformarsi per sfuggire a se stessa".

E' da qui che nascono gli alieni?

"Certo, visto che non mi sono mai interessato di fantascienza. Mi sentivo frustrato quando nelle loro lettere i ragazzi mi parlavano di fantascienza e pensavo 'chissà che cosa ci trovano di tanto affascinante' . Creando il personaggio alieno ho cercato di avvicinarmi a qualcosa che non intendevo come fantascienza. Comunque alcuni aspetti della cultura giapponese sono stati per me motivo di riflessione. Mi chiedevo quali fossero gli elementi alieni in quel mondo che affascinava così tanto. Pensavo al kabuki, all'influenza giapponese nella moda e nel design".

Quindi ti sentivi alieno più nella vita privata che in quella sociale?

"A casa mi sentivo davvero un alieno. Non sono mai riuscito a parlare con nessuno. Ho trascorso molto tempo nella mia camera da letto. Era tutto il mio mondo. C'erano i miei libri, i miei dischi, il mio stereo. Come ti posso dire: 'un Paradiso al primo piano'".

E i tuoi genitori?

"Il mio mondo era al primo piano. Per uscire dovevo attraversare una terra di nessuno: il salotto e l'atrio".

Hai parlato in modo molto chiaro del tuo lavoro, di quali sono state le tue scelte e del ruolo che occupavi sulla scena musicale.

"Sì. Io stesso ho scoperto alcuni aspetti sconosciuti di me stesso che mi appartenevano. C'è stato un film che ha contato molto per me. Si intitolava The Queen. Non so se te lo ricordi".

No. Di chi era?

"Era un 'art movie' dedicato agli ultimi anni Sessanta... Probabilmente alla metà di quel decennio. C'erano delle cose incredibili che riguardavano lo stile di vita gay. Sai, allora l'omosessualità era un vero tabù; anche se negli anni Sessanta si parlava di libero amore, erano tutte cazzate".

Chi era il protagonista di The Queen?

"Non me lo ricordo. Non mi ricordo nemmeno se fosse un attore francese o americano. Tuttavia non ho mai dimenticato quel film. Uscì la stessa settimana di Heristratus di Lindsay Anderson. Me lo ricordo perché in quella sala davano due film e io volevo vedere Heristratus. Finì che vidi The Queen e per ben cinque volte".

Dove era girato?

"Era un film in bianco e nero a bassa definizione. In un'inquadratura, 'lei' scendeva da una scala mobile e io pensavo che non avrebbe mai toccato terra. Mi sono rispecchiato in quel film. Ho trovato che quel mondo mi appartenesse. Mi sentivo attratto. Sai, non c'è voluto molto tempo perché mi rendessi conto di essere eterosessuale. C'era qualcosa di quel mondo che mi attraeva".

Cos'era? Il fascino della diversità?

"Era una diversità in molti campi. Mi piaceva la gente di quel mondo. Erano informatissimi su diverse cose per esempio la musica. Ricordo che la buona musica si ascoltava soltanto nei locali gay a Londra".

Hai composto sotto l'effetto della cocaina?

"Sì, ho scritto molto sotto l'effetto della droga. E naturalmente ero molto influenzato da William Burroughs, che puoi capire solo quando sei fatto. Ero in grado di scrivere tre o quattro paragrafi su argomenti totalmente differenti, di tagliarli e mescolarli traendo ispirazione dalla nuova composizione. Era veramente stimolante. Pensavo: 'Dio benedica Brion Gysin' . C'era un senso nel rispondere con il caos a quei tempi caotici. Era logico".

Come sei uscito dalla coca?

"E' stata un'esperienza terribile. Orrenda. Sconvolgente. Due o tre volte sono andato in overdose. Ricordo che ero scosso da brividi, ansimavo, mi costringevano a camminare per tenermi sveglio, e mi facevano dei bagni caldi per superare la crisi. Un giorno Koko mi disse: 'Devi lasciare questa città' . Vivevo a Los Angeles. Decisi di trasferirmi a Berlino. La consideravo una città stimolante. L'avevo scoperta durante un tour e l'amavo dai tempi di I am a Camera, di Isherwood, di un certo tipo di cultura. Pensavo 'Berlino sarà la mia nuova musa, quella che mi sottrarrà alla droga' . Ed è stato proprio così. Ricordo che giravo con Iggy (Pop). Iggy era in uno stato pietoso, si faceva di eroina, e, sai, è molto dura quando ti fai di eroina... Poi ci siamo detti: 'Adesso basta' . Ci siamo trasferiti a Berlino, abbiamo affittato due appartamenti e abbiamo intrapreso la lunga salita per uscire dalla droga".

E' incredibile visto che quando ti fai di coca, e vuoi smettere hai un gran bisogno di bere.

"E' proprio quello che mi è capitato".

Si beve per anestetizzarsi.

"E' vero. Riduci la quantità di cocaina ma aumenti quella dell'alcol. Così mi sono ritrovato sulla via dell'alcolismo".

Bevi ancora?

"No, ho smesso completamente. L'alcol mi faceva sentire depresso. E la depressione è ancora più terribile. Inoltre l'alcol influiva negativamente sul mio lavoro, mi toglieva lucidità. Sniffando cocaina hai l'impressione di acquisire una grande lucidità. Il tuo pensiero risulta accelerato, la frammentazione che ne risulta è anche interessante, tuttavia è quasi impossibile raggiungere un flusso coerente. Parli tanto, sì, ma senza un filo logico cercando di comunicare al tuo interlocutore qualcosa che nemmeno tu sai".

Ho capito. Ma la cosa che mi stupisce di più è il fatto che devi essere una persona incredibilmente forte per essere uscito da tutta questa merda: e che, mentre sei seduto davanti a me, dimostri ancora un'irrefrenabile voglia di conoscere il mondo, te stesso e ogni cosa che ti circonda.

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