lunedì 14 febbraio 2011

La caccia al nuovo 10 argentino

Erik andarono a prenderselo che aveva 12 anni. Era un chiodo con le scintille nel sinistro. Il Barcellona gli mise una penna in mano e sotto la penna un foglio da firmare: 120mila euro l'anno, un posto di lavoro per papà José, l'iscrizione alla migliore scuola di Catalogna. Quattro anni prima lo stesso blitz era riuscito con un ragazzino microscopico di nome Leo. Solo che Erik Lamela detto Coco fermò la mano, disse no grazie e rimase a Buenos Aires. Lasciarono il foglio in bianco pure Juan del Carmen Iturbe e Miriam Mabel Arévalo, quando videro la prima offerta per loro figlio, Juan Manuel, piede mancino dribbling e carezze. Veniva da chi l'aveva cresciuto, il Cerro Porteño, del barrio Obrero di Asunciòn, la squadra del popolo paraguayano.
Ma paraguayani sono loro, il bimbo era nato nel '93 a Buenos Aires, dove i due all'epoca lavoravano, ed era in Argentina che a 16 anni aveva intenzione di tornare. Una guerra. Il Cerro pesca la copia del cartellino federale numero 483.823 firmato nel 2005. Il governo regionale vieta al ragazzo l'uscita dal Paese. Il giudice dei minori Isidoro Olazar annulla tutto per "sopraffatta patria potestà". Roba che non ci arriva neppure un racconto di Cortàzar.
E prima di rifugiarsi in Argentina, quel fenomeno di Iturbe fa pure in tempo a segnare con tutte le nazionali giovanili del Paraguay e una volta con quella maggiore. Non in una gara ufficiale, però; così l'Argentina ha potuto portarlo prima ai mondiali in Sudafrica per le partitine coi grandi, poi sotto la propria bandiera al sudamericano under 20 dei giorni scorsi.

Ora Lamela e Iturbe sono i più attesi del campionato di Clausura cominciato venerdì. Il primo piace al Milan, ha la 10 del River Plate e il compito di salvarlo; l'altro un posto nel Quìlmes, i paraguayani si sono arresi, la Fifa ha sbloccato il transfer. Iturbe resta lì fino a giugno, poi lo aspettano il Porto e quell'Europa dove tutti sognano di mettere le mani prima degli altri sui diamanti dei nuovi Messi. Un tempo si inseguiva il nuovo Sivori, poi quando Omar parve reincarnato nel sinistro di un coso minuscolo chiamato Diego, la caccia riprese, e tutti si misero a cercare il nuovo Maradona. Una giostra di Borghi, Gallardo, Ibagaza, Saviola, D'Alessandro, persino Latorre. Fino a Messi. E ora ricomincia il safari nel Paese che esporta il maggior numero di calciatori, là dove una maglia col 10 pesa più che in ogni altro posto al mondo. 

C'è chi rimane schiacciato, da quel peso. Tipo Ariel Ortega, negli anni '90 benino alla Samp, un disastro al Parma, fuori dal campo il dramma dell'alcol. Per lanciare Lamela il River l'ha scaricato, a 37 anni ci prova con l'All Boys. Diego Buonanotte detto El Nano, di anni ne ha appena 23, ma sembra passata una vita da quando era l'ultimo dei predestinati, la sua Peugeot andò fuori strada, tre amici morti, lui unico superstite. Il Malaga ci prova: l'ha preso per luglio. Defederico, che è un 10 con la 9, è appena rientrato dal Corinthians all'Independiente. Ha 22 anni, e quasi pare sorpassato pure lui. Perché gli argentini hanno fama di esser pronti a partire bambini, se sono fenomeni. Per questo costano già tanto con pochi minuti di A nelle gambe. Come Sergio Araujo del Boca, 19 anni, El Kunito per la sua somiglianza con Aguero: il Real ha una prelazione. O come Manuel Lanzini, ala del River, titolare a 17 anni. Gli inglesi del Blackburn si sono appena portati via Mauro Formica dal Newell's. È una febbre mondiale, la caccia al nuovo Messi. Sempre che in giro ci sia. 

(la Repubblica, 14 febbraio 2011)

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