lunedì 25 settembre 2000

I clandestini del canottaggio


I contrasti di Napoli. L'ultimo oro e l'ultimo argento di Sydney, il trionfo storico di Agostino Abbagnale e il podio di Walter Molea, arrivano da uno sport di clandestini. Dietro i cancelli del Lago Patria, il principale bacino del canottaggio campano, remi e barche sono ormai abusive da un pezzo. Doveva persino diventare una discoteca, quello stadio. Del progetto non se ne fece più nulla, ma l'impianto di proprietà del Comune di Giugliano rimane inaffidato. Non costa nulla, alle società napoletane, frequentarlo. La loro presenza lì è tollerata, il guaio è che sulle sponde del lago s'insinuano pure gli estranei. L'altra notte è stata forzata una saracinesca. Sono stati rubati gli infissi in alluminio e i rubinetti dell'impianto idraulico, peraltro in disuso. Manca l'acqua corrente, i servizi igienici sono i cespugli. Gli atleti arrivano in macchina e lì dentro si spogliano.


E' questo lo scenario in cui sono nati i sette ori olimpici della famiglia Abbagnale, un bel mucchietto di titoli mondiali, il boom di un'intera generazione e di un'intera scuola. Eppure, il futuro germoglia ancora. A livello giovanile, i club campani continuano a dominare. Semmai, il problema è trovare le forze per proseguire ad alto livello. Mario Palmisano, 22 anni, quarto a Sydney sull'otto, già pensa di ridurre i suoi allenamenti, quando sarà di ritorno. E' fra quelli che non ha resistito a lungo fra i militari, l'approdo naturale per chi oggi vuol far sport con impegno da professionista ed uno stipendio sicuro. Vuole laurearsi, dunque dopo Sydney non potrà concedersi più d'un allenamento al giorno. «Ormai il compito dei club è reclutare giovani, avviarli allo sport e affidarli alle forze armate. Funziona con ragazzi d'un certo ceto sociale, non con tutti. Il canottaggio è uno sport duro. Chi studia, smette. I nostri campioni sono gli stessi da 10 anni. Prevedo grosse difficoltà in futuro per attirare i giovani» , è la previsione di Aldo Calì, l'allenatore della Canottieri Napoli. Sui giovani lavora Davide Tizzano, dall'altra notte scavalcato nel numero degli ori olimpici vinti dall'amico Agostino. Erano insieme sul 4 di coppia che vinse a Seul nell'88. Erano insieme sul 2 di coppia che si ripetè ad Atlanta nel '96. Potevano essere ancora insieme in Australia. «Era un'idea». «Non se n'è fatto nulla per i miei impegni di lavoro e per gli impegni federali di Abbagnale. Sono felice lo stesso», racconta l'ex campione, grinder sul Moro di Venezia all'America's Cup fra un'esperienza olimpica e l'altra. Era a Malpensa per salutare il vecchio amico, nel giorno della partenza verso Sydney. «Avevo l'aereo per Napoli. Agostino disse: «Vorrei venire con te». Gli risposi: «Non scherzare, sono io che ti seguirei». Dentro di sé, lo sapeva. Aggiunse: «Se dai qualche intervista, parla bene di me». E come potrei parlar male di lui? Dopo aver vinto due Olimpiadi con Agostino, mi sento un suo fratello. Non siamo stati molto tempo insieme, ma ogni momento è sempre stato intenso. Certo che l'ho visto in tv, mi sembrava un bambino quando ha rotto i palloncini degli olandesi sul podio. Sapevo che non avrebbe esultato, dopo il traguardo. Una questione di rispetto per gli avversari sconfitti~». Con gli ultimi successi di Sydney, malgrado i mille disagi, parte la nuova semina. Tizzano se ne occupa da esterno alla Federazione, lavorando su ragazzi a rischio, in collaborazione col Ministero di Grazia e Giustizia e con il Comune di Napoli. Forse lì si nasconde un altro piccolo Abbagnale. «Ma uno così, sia chiaro, nasce ogni cento anni»

(Repubblica Napoli, 25 settembre 2000)

Nessun commento: