Ma quale sconvenienza. «Vuol dire che avrà grande fiducia in suo fratello. Se Alfonso Pecoraro candida Marco Pecoraro, se si assume tutte le responsabilità politiche della scelta, se il suo partito accetta e non obietta, allora lo scandalo dov'è?», si chiede Sandra Lonardo, la signora Mastella. «Non lo dico per autodifesa». Ci mancherebbe. Mentre a sentire Fulvio Martusciello, fratello di Antonio che fu tra i fondatori di Forza Italia, il vizio d'origine di Marco Pecoraro Scanio è un altro. «Per causa sua, un anno non sono riuscito a completare l'album delle figurine». I calciatori Panini.
Quando Marco era più famoso di Alfonso. Quando lo vollero candidato al consiglio comunale di Ancona perché era il capitano della squadra promossa in serie A, non per il potere d'evocazione di un cognome, e in una città comunque distante dal serbatoio di voti di famiglia. Mogli, mariti, figli, fratelli. Ci sono eredi a cui si cede uno studio medico, altri ai quali si tramanda l'attività di generazione in generazione. Certi cognomi si ripetono anche in consiglio comunale. Impegno, Cigliano, De Flaviis, Venanzoni. «Chiariamo. Il distinguo viene dall'elezione. Ti possono pure candidare, poi però ti devono votare. La legittimazione arriva dal territorio e dal sistema delle preferenze», rimarca Fulvio Martusciello, per due volte il consigliere regionale più votato d' Italia, 37 mila schede scrutinate col suo nome. Entra in politica nella scia di Antonio, suo fratello, il numero 3 di Publitalia che viene proiettato dall'azienda al partito sin dai giorni della fondazione di Forza Italia. Invece Fulvio è un funzionario della Banca d'Italia, una laurea in giurisprudenza con specializzazione in diritto civile. Debutta da coordinatore provinciale a Benevento. «Ma tra il '97 e il 2004 per due volte sono stato confermato, con un avversario da affrontare in congresso». Come dire, la mia è una storia diversa.
La stessa storia diversa che sente d'avere Sandra Lonardo in Mastella. «Ho sempre seguito la politica. Comizi, campagne elettorali, interventi nel sociale». Quelle di Dc, poi Ccd, ora l'Udeur. «Ho fatto parte del coordinamento femminile». Al centro, nel centrodestra, nel centrosinistra. Fino al listino blindato con cui giunge a Santa Lucia, e poi alla presidenza del consiglio regionale. «E' stato Bassolino a volere una donna nel suo listino per le ultime regionali, e il partito fece il mio nome». Il partito. «A questo listino qualche voto l'avrò portato anch'io, o no? Specialmente nella provincia di Benevento, dove le percentuali sono state ottime. Anzi le più alte della Campania». E' lontano il 2001, quando 29 mila voti non bastarono per andare in Parlamento. «Allora chiariamo. Mi diedero un collegio di ottava fascia e non ho mai avuto la fortuna o il piacere di averne uno dei cosiddetti blindati. Quella volta dissi di sì per dare il mio contributo. Per uno slancio. Non ce la feci per pochi voti». Cinquemila circa, ma Sandra Lonardo ne prese quasi duemila in più di suo marito. «Ogni persona vale per se stessa. In consiglio regionale ci vado io, non la moglie di Clemente Mastella».
In Parlamento, tra due mesi, potrebbe arrivare anche Anna Maria Carloni, la signora Bassolino, un'intenzione manifestata dalle donne Ds ai vertici del partito, chiamati a comporre con la Margherita le liste dell'Unione. Lei, motore di Emily con una lunga militanza nel Pci prima, oggi nei Ds. «Io sono Bassolino e Anna Maria è la Carloni, ciascuno pensa con la propria testa», le parole con cui qualche anno fa il governatore spazzava via malizie e sorrisini. Angelo Montemarano, assessore regionale alla Sanità, ha invece un figlio corteggiato dalla Margherita per un posto in lista al consiglio comunale di Napoli. La scarsa fantasia dei partiti o la politica come passione contagiosa. Di famiglia. Dove a volte una poltrona non basta. Meglio un divano.
Repubblica Napoli, 12 febbraio 2006
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