Wilson, morto ieri a 76 anni, è stato probabilmente l'incarnazione più precisa della lazialità, quel sentimento individuato da molti dei suoi tifosi eccellenti come un orgoglio privato, silenzioso, distinto, una sfera spesso fraintesa e impastata di cliché, ma socialmente più disomogenea di quanto appaia in superficie. La Lazio anni 70 divisa in due combriccole, due gruppi che si svestivano in due stanzoni separati, è allora fortemente evocativa di un destino e di una identità. La lazialità è una passione alimentata dal tormento, da un urrà contabile complesso di inferiorità dinanzi all'egemonia romanista. Wilson ne è stato un drappo. Amava gli scherzi, meglio se impensabili. Ne fece uno atroce al dottor Ziaco nascondendogli la macchina, facendola scivolare sul fondo della piscina dell'hotel a Pievepelago, dove la squadra d'estate andava in ritiro. Amava la leggerezza, ma aveva portato dentro di sé per molti anni il peso degli errori commessi e pagati, la condanna del calcioscommesse a cui aveva aggiunto una espiazione ulteriore, una specie di esilio dal suo mondo.
Come la maggior parte dei compagni di quella squadra irragionevole, irripetibile, aveva ceduto alla fascinazione delle armi, una 38 special di cui era arrivato a studiare le minuzie, il funzionamento del tamburo, il peso del proiettile, il percussore. Un giocatore fuori dal canone, un universitario, si era iscritto a giurisprudenza, laureandosi poco dopo lo scudetto. Tesi: la relazione tra l'ordinamento sportivo e la giustizia ordinaria. Alla discussione lo aveva accompagnato una delle due figlie di Maestrelli, quel Tommaso che gli aveva consegnato la fascia e gliel'aveva confermata anche nei momenti di burrasca, il più difficile forse nell'ottobre del 1971 dopo una sconfitta a Terni in B. Avevano tutta la folla contro e trovarono i loro nomi scritti su dei bidoni dell'immondizia, compresi i numeri di maglia dall'uno all'undici. Poi cominciò l'ascesa irresistibile, una candela bruciata tra il 1973 e il 1977. In politica si definiva andreottiano, ma erano i tempi in cui in Italia una buona fetta di elettori del Movimento Sociale non osava dirlo. Senza Wilson, la Lazio ha perso la sua coscienza storica. Se n'è andato con un rimpianto che qualche anno fa trovò la forza di confessare: «Mi piacerebbe una volta sognare Re Cecconi».
[uscito su Repubblica, 7 marzo 2022]
Nessun commento:
Posta un commento