mercoledì 17 luglio 2013

I magnifici palloni di Vincenzo Cerami

I pali delle porte erano le cartelle. Il bambino Vincenzo scoprì il pallone per la strada, quartiere Alberone, a Roma, dove avevano steso l'asfalto, e su quell'asfalto le automobili non passavano ancora. Dopo, solo dopo, quando cambiò casa, si poteva giocare sui prati di Ciampino fino a sera. Il professore di lettere si chiamava Pier Paolo. Pier Paolo Pasolini. Bravo pure lui con il pallone, stava a sinistra, correva, correva e calciava forte. Scuole medie. Istituto "Petrarca". Primi anni Cinquanta. Vincenzo si muoveva a centrocampo. Mediano. Mica per scelta. Per obbligo. Anche dopo, anche crescendo.


Perché giocava a rugby, in serie A con il Frascati e pure nella nazionale giovanile, e sapeva cos'era un contrasto, sapeva cosa significa portar via la palla a un avversario.Il rugby. La palla storta. L'amore sportivo vero di Vincenzo Cerami. In un'intervista al Mattino del marzo scorso, raccontò: "Era bellissimo giocare a rugby, lo sport mi è restato nel cuore. Mi ricordo il profumo della vegetallumina, della pomata che mettevamo dopo i traumi. Un odore pungente insieme con quello dell’olio canforato. E poi il freddo: noi trequarti passavamo metà della partita ad aspettare il pallone. Allora non era mica come oggi, almeno a Frascati, il gioco era tutto sugli avanti. A noi arrivavano pochi palloni. Peggio ancora quando pioveva, per colpa delle maglie, pesantissime, di un cotone duro, quando si impregnavano d’acqua era un disastro. E il pallone? Ora vedo che giocano con palloni sintetici, sembrano mantenersi leggeri anche quando piove, un tempo erano di cuoio, si imbevevano d’acqua, ingestibili”.

C'è una sua frase celebre: "Il calcio assomiglia all'Italia, il rugby allo sport". Per questo lui non giocava a calcio. Giocava a pallone. Che è un'altra cosa. Dove regna ancora la bellezza di un gesto, del fiato che ti manca, delle gambe che si piegano per la fatica. "Per passione, per divertirmi, per stare con gli amici", raccontò una volta alla Gazzetta dello Sport, più di una decina d'anni fa. Raccontò delle partite organizzate contro la squadra di Nanni Moretti e del suo amore per le regole. "Un fallo tattico è un fallo morale: non infrangi la regola per necessità, ma per scelta". Raccontò della sua sbandata infantile per l'Inter di Veleno Lorenzi e della "scelta naturale" di tifare Roma. Da romano. Allo stadio per Liedholm e Falcao, "il calciatore della mia vita", poi di nuovo per la Roma di Zeman. "Il boemo ci ha fatto divertire e ha ragione quando afferma che nel calcio di oggi è difficile il mestiere di allenatore: come ordinare tre giri di campo a chi guadagna un miliardo al mese?".

Il pallone, non il calcio, entrò nei suoi romanzi.
"Urtò con i piedi contro una palla bucata, cominciò a prenderla a calci, a lanciarla tra due alberi. Coprendosi in un attimo di sudore. Era quello che voleva: così bagnato andò a rifugiarsi nel piccolo bosco accanto alla Capinera". (Ragazzo di vetro, 1983)
"Stavo giocando a palla con i miei compagni nel cortile del palazzo. Con modi bruschi lei mi tolse la camicia e mi ficcò la testa dentro la maglietta verde. Fu li, probabilmente, che per la prima volta feci conoscenza del dolore". (Fantasmi, 2001)
"Una volta c'erano le piazze, i viali... dove la gente si incontrava. I ragazzini imparavano a vivere fuori di casa, giocavano a palla, a campana sulla strada. Nascevano amicizie di una vita. Adesso i ragazzi, per giocare a pallone, devono andare in un campo e pagarlo a ore". (L'incontro, 2005)
E il pallone entrò nelle poesie.

Lasciami bere la tua stanchezza
mi basta un sorso di fortuna
e avrai un servo fanciullo
per la vita
da lusingare e frustare
usare come un pallone
a calci e carezze, da offendere
e blandire, da usare
come una sposa.

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