I pettini di Scicli

Via Penna a Scicli è un incanto. Ha un gioco di luci che in un'altra vita si dovrebbe imparare a fotografare. Palazzo Spadaro è a pochi metri dal Comune. Ci si arriva col biglietto comprato all'ufficiodi Montalbano, ma per riuscire a entrare bisogna farsi largo tra un po' di folla. Gente elegante. Una signora molto cordiale avverte che la pinacoteca è al primo piano, il guaio è che tra poco, dice, in una stanza là accanto si deve celebrare un matrimonio. 
Guarda il biglietto che ho comprato e che ho tra le mani. Capisce. Perciò continua a dire: non è che non si può salire. Si può. Volendo si può. Ma tra poco di sopra c'è questo matrimonio, tra poco sopra ci sale tutta questa folla, tra poco sopra chi lo sa se è libera una guida in mezzo a tanta confusione. Si ferma e guarda dritto negli occhi.
E di vedere la pinacoteca in questo modo,in mezzo a tanta confusione, a voi vi conviene?

No. Non ci conviene. Penso che a Bologna avrebbero transennato l'area del matrimonio un'ora prima, che a Roma le transenne non ci sarebbero state ma che mi avrebbero stoppato dicendo allora nun ha ccapito nun se po' salì, mentre a Napoli avrebbero pregato Dotto' non mi dite niente, ma proprio oggi la pinacoteca non si può visitare, mi mettete in difficoltà, tengo ddoje criature 'a casa.
Meglio Scicli.
Vi conviene?
No. Auguri alla sposa, andiamo via, casomai torniamo quando finisce il matrimonio, quanto ci vorrà, dice la signora, nemmeno mezz'ora. Allunghiamoci prima al Museo del costume, dove non è un peso portarsi un bambino. Non lo è perché la collezione ha un fascino infantile, e perché la guida è molto molto brava. Preparatissima. Dice che storia del costume è stato un suo esame universitario, e quando una nobildonna della città ha aperto il museo lei ha trovato un modo di mettere a frutto gli studi. Fa strada tra meravigliosi abiti siciliani degli ultimi due secoli, cappelli, drappi, sottovesti che sono una specie di impalcature in ferro.
Spiega le abitudini femminili, racconta che un tempo a Scicli si chiedeva una ragazza in moglie presentandosi in casa dei genitori portando un pettine per lavorare la lana. A quel punto il ragazzo si informava con i padroni di casa su quanti denti avesse invece il loro pettine. Se la madre della ragazza rispondeva SIdici, sedici, significava sì (dalla prima sillaba): accetto a darti in moglie mia figlia. Se avesse risposto NOve, significava no. E dopo il sì, il ragazzo lasciava in casa una propria foto, i padroni di casa andavano nell'altra stanza, la mostravano alla figlia e le dicevano: Ecco, questo sarà tuo marito.
La guida racconta che pure sua nonna è stata sposata così. Dunque era in voga fino a poco tempo fa, mi scappa detto. Lei si ritrae. Dice di no, che sua nonna oggi avrebbe 90 anni, che è passato tanto tanto tempo, farfuglia, dice che da molto ormai non si usa più. Ha scambiato la mia curiosità per un giudizio. La fermo. Rispondo che capisco. Che so bene che oggi non è più così. Arrossisce. Ci riaccompagna fuori, Palazzo Spadaro è di fronte. All'esterno, sotto i muri all'ombra, poca per la verità, stanno allestendo il buffet del matrimonio. La sposa non è ancora arrivata, la pinacoteca ce la vediamo un'altra volta. Ci conviene.

(Chiacchierate in Sicilia / 5. continua)