Adesso che di Sanremo non importa più a nessuno, è forse arrivato il momento di scavarci dentro. Per scoprire che il festival dei lunghi monologhi di Celentano è stato in realtà il festival che ha premiato la mancanza di fiducia nel potere della parola. Il Sanremo che ha fatto l'elogio dell'incomunicabilità. L'ha cantata meglio di tutti Noemi, al suo uomo ricordava "un equilibrio che svanisce ogni volta che parliamo". Lui era stanco di tutto, "e io non so cosa dire, non troviamo il motivo neanche per litigare, siamo troppo distanti distanti tra noi, ma le sento un po' mie le paure che hai. Vorrei stringerti forte e dirti che non è niente. Posso solo ripeterti ancora: sono solo parole, sono solo parole le nostre".
Non per scomodare Pirandello e il suo Vitangelo Moscarda, ma le prime tre canzoni in classifica - cioè la più votate, le più gradite - hanno raccontato esistenze in frammenti, l'esclusione pure da se stessi. Emma dice "non comprendo com'è possibile pensare che sia più facile morire, no, non lo pretendo, ma ho ancora il sogno che tu mi ascolti e non rimangano parole". Le parole non servono neppure alla protagonista del pezzo di Arisa, tutta immersa in un dolore "sul foglio seduto qui accanto a me, che le parole nell'aria sono parole a metà". Il pezzo peraltro si chiama La notte. Come il film di Antonioni. Ecco. Appunto.
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