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sabato 6 dicembre 2008

Da Romeo a Romeo, quindici anni di Napoli

Vota Antonio, vota Antonio. La folla lasciava la Galleria e urlava. Cinque dicembre '93. La sera di Bassolino sindaco. Quindici anni. Sono volati. Era vento di speranza. Oggi è una bufera. Dal solco di un'inchiesta giudiziaria che portava il nome di Mani Pulite, s'alzò quel vento di speranza su Palazzo San Giacomo, dove oggi s'allunga invece l'alito insopportabile di "Magnanapoli". Quindici anni volati. Con la leggerezza di una catena. Beffardi, pure. Oggi riportano in primo piano gli stessi attori. «I politici erano tutti attorno a me come cavallette», fu la celebre frase con cui Alfredo Romeo, coinvolto nella Tangentopoli anni '90, divenne il grande accusatore di un'intera classe dirigente. Ed è il suo gruppo, ora, al centro delle verifiche della Procura.


Tremano parlamentari, assessori, ex amministratori. Come allora. Sembra allora. Vite spezzate. Autunno nerissimo, il '93. Così lo chiamava il cardinale Giordano. La rivolta dei marinai di Mergellina, l'acqua avvelenata, i trasporti pubblici in ginocchio, il dissesto finanziario. Quello diventò l'autunno dei sindaci, l'inizio della guerra di Bassolino al ventre molle della città. Vota Antonio, vota Antonio, urlava la folla il 5 dicembre del '93 in quella Galleria Umberto che oggi è incarcerata dentro le maglie di ferro delle impalcature del restyling, involontaria fotografia di una città forse prigioniera di un ricordo. Arrivarono le tv di mezzo mondo. Dal Giappone, dalla Spagna, dal Sudamerica. Le stesse che sono tornate per riprendere la monnezza in strada. Questo quindicennio. «Non si può non trarre materia di seria riflessione sulla validità delle politiche portate avanti dallo Stato e dalle istituzioni regionali e locali», sono le parole recenti di Giorgio Napolitano.

La Regione immaginava, e probabilmente immagina ancora, un'esposizione pubblica delle sue opere in corso. I plastici, le foto, i video di quei cantieri grazie ai quali la giunta Bassolino è intervenuta su Napoli e con i quali punta a trasformare la Campania. La rete della metropolitana, innanzitutto. Il grande vanto del quindicennio. La sua eredità. Una mostra pensata perché partisse a novembre, poi fatta slittare all'inizio del 2009, e adesso chissà. La Regione non voleva che fosse una sterile celebrazione. Semmai doveva servire a riportare l'accento sulle luci di un'esperienza cominciata quel 5 dicembre. In una città distrutta dagli scandali, dove la Dc più potente d'Italia finì in polvere tra le macerie di Tangentopoli. I giorni in cui Bassolino scoperchiava «la pentola del malaffare» e denunciava «la banda dei quattro». «Passo dopo passo». Diversamente da Napolitano, lui aveva dovuto costruire il suo percorso politico lontano da Botteghe Oscure. Prima da commissario del partito ad Avellino, a contrastare l'egemonia nascente di De Mita. Poi candidato in Calabria, lontano finanche da Napoli, dove però chiude la sua missione facendo crescere il consenso intorno al partito. Via da Roma, comunque. Quel quindicennio si apre con Alessandra Mussolini che la sera prima del voto, al ballottaggio, fa distribuire migliaia di volantini in città. Accusa «i comunisti che hanno governato Napoli». C'è scritto: «'75-' 83: 4 arresti, 20 inquisiti, 1.800 miliardi di debiti». Lei prometteva il casinò a Nisida e il ritorno del piano regolatore di Lauro. Napoli voleva lasciarsi alle spalle dieci anni farciti di un terremoto, mattanze di camorra, il caso Cirillo, il potere diviso tra Gava, Pomicino, Di Donato e De Lorenzo. Piazza Matteotti era ancora per tanti piazza della Posta centrale. Di Pietro era un magistrato, non il leader dell'Idv che da mesi incalza Bassolino chiedendogli di farsi da parte. Ora sotto assedio c'è la parabola del centrosinistra napoletano. Quindici anni che si rincorrono da un 5 dicembre all'altro. Nati con le Mani Pulite e finiti dentro Magnanapoli.

(Repubblica Napoli, 5 dicembre 2008)

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