lunedì 6 maggio 2019

Come il Milan vinse lo scudetto della stella



Lo scudetto della stella del Milan, 6 maggio 1979, 
nelle parole d'epoca: Arpino, Brera, De Felice, Sconcerti, Zanetti. 

Io triumphe, caro vecchio Milan! Sento impazzare i clacson, indici del suo nume. Dal primo all'ultimo giorno il Milan ha comandato il torneo. Ha tenuto più a lungo la sua ruota il magnifico Perugia: poi ha dovuto arrendersi, troppo grande la differenza di forze in campo, di riserve in panchina, di mezzi in città (per tacere della Regione, cioè del retroterra). Ora, secondo che giustizia vuole, togliamoci il cappello per il Perugia e ascoltiamo con grata meraviglia il chiassoso carosello dei nostri cari fratelli cacciaviti [1]. L'anno di Rivera, Maldera, Bigon, di un Perugia che perde il trentenne Vannini e quindi cade in ambasce strategiche che costano punti, l'anno di una Juve retour de Baires che che prima è appagata poi pentita, poi distratta, l'anno di un Torino falcidiato, è trascorso [2]. "In pratica, è stato un torneo a due, ma con una sola squadra iscritta alla corsa per lo scudetto: una sola squadra che poi sono state due, il Milan con Rivera e il Milan senza Rivera. Un autentico rompicapo per i maghi delle panchine [3].

la partita decisiva
Alle quattro del pomeriggio San Siro aveva diecimila persone in più delle sessantamila consentite. C'è voluto un appello di Rivera per vedere lentamente la grande ammucchiata aprirsi e disperdersi come il Mar Rosso davanti a Mosè [4]. È entrato in campo Rivera avendo al fianco Paride Accetti: "Alzati Gioann", ha ringhiato un fesso, neanche fosse il papa. Rivera ha avuto il microfono dell'altoparlante e ha detto: "Se non sgombrate perdiamo la partita". Accetti, che è forse un congiuntivo esortativo, non un indicativo presente e neanche un plurale sbagliato, ha compiuto ampi e cattivanti gesti a sostegno dell'oratore: poi si sono mossi i pretoriani (the Milan boys) brandendo manganelli astutamente avvolti in bandiere da campo: la gente ha subito capito e si è pigiata sugli anelli superiori. Allora finalmente ha avuto inizio la più divertente parodia d'una partita di calco che mai sia stata inscenata negli ultimi decennio (a quel livello dico) (...) Il pericolo era che qualcuno, per isbaglio, segnasse [1]. C'è una sorta di pudore a cantare il trionfo del Milan, come entusiasmo popolare vorrebbe, anche perché la partita è stata falsa. Il Bologna puntava al pareggio, e lo hanno capito subito tutti. (...) A cercare il gol con un certo impegno fra loro era Juliano, che non ha mai amato Rivera per questioni di nazionale [5]. La parte cogliona dei presenti si è messa a fischiare con temeraria insolenza: qualcuno ha pure gridato ai bidoni. Oh comica pretesa di voler vedere calcio fra due squadre egualmente interessate a non procurarsi danno! [1].


lo stile di gioco
Al termine di una partita brutta ma onesta il Milan ha finalmente vinto il suo decimo scudetto. Senza dubbio un successo meritato. Il Milan ha probabilmente risorse tecniche che in questo campionato sono state sottovalutate. Liedholm ha trascinato allo scudetto una squadra praticamente priva di attaccanti di ruolo. Nonostante questo il Milan ha segnato 45 reti. Tanta prodigalità offensiva è spiegabile solo con una superiorità tecnica dilagante [4]. Come farà questo stesso Milan a reggere, visto che l'amalgama tra Ufo Baresi e Chiodi e Bet e Albertosi non può certo pretendere la ripetizione del miracolo? [2]. È una squadra giovane che sa giocare al calcio. Soprattutto ha giocatori giovani nei ruoli in cui gli altri hanno talenti vecchi (e il Milan ha già dimostrato di non essere estremamente legato a Rivera). Non gli servirà cambiare molto per capire che forse è soltanto l'inizio [4].
Lo scudetto del Milan ha un significato preciso. Esso è innanzitutto il frutto di un ritorno del club rossonero a quella serietà di conduzione sociale, a quella stabilità di gestione, a quella programmazione previdente e attenta, che per alcuni anni erano mancate con effetti disastrosi nella sede di via Turati e nel centro di allenamento di Milanello [5]. "Fortunato io? Se racconto alla gente tutte le disgrazie, le traversie, le preoccupazioni che ho avuto nella mia vita, quelli scappano lontano" [6]. Questo Milan rispecchia quella che gli economisti chiamano "la ripresina", situabile tra Brianza ed Emilia [2].
Il titolo conquistato dal Milan premia la vocazione al gioco, alla pienezza tecnica, in qualche caso all'eleganza perfino, della formazione allestita e preparata da Liedholm. In squadre meno dotate il tecnico svedese aveva dovuto accettare l'inevitabile involuzione verso formule difensivistiche, ancorché pudicamente mascherate dall'ammassamento a centrocampo e da inconcludenti ma dilatorie manovre a ragnatela. Come ha rimesso le mani su giocatori di più sicuro talento. Liedholm è tornato alla sua vecchia filosofia di autentico esteta del calcio. Vincere uno scudetto senza disporre di un cannoniere in prima linea è un miracolo che passerà forse alla storia del nostro campionato [5].
Il Milan, sul piano tecnico, ha vinto la sua partita quando si è messo a giocare un calcio che nessuno capiva: schierava una sola punta naturale, Chiodi, e allora gli avversari cercavano di individuare la seconda punta effettiva allo scopo di dare un compito di marcatura al loro secondo stopper. Non trovandola, correvano a leggere i giornali per sapere come si doveva marcare un attacco che, a turno, inviava in avanti sette uomini a tirare in porta, senza un concetto offensivo plausibile [7].

l'allenatore
Il tecnico-allenatore Nils Liedholm ha finalmente ripetuto nella serie maggiore prodezze già realizzate in serie minori. È un vecchio astuto commesso di Waldemarswick (non un vichingo, dunque, bensì un ostrogoto, cioè goto dell'est). Insomma, uno svedese di campagna. (...) Lidas si è fatta a sue spese una accorta filosofia italiota, e l'ironia lo salva, come l'astuzia, da atteggiamenti per solito fondati sulla cultura, che ha solo in senso specificatamente pedatorio (ma come appassionato collezionista d'arte è rispettabile assai). La qualità maggiore di Lidas è pedagogica; il superiority complex razziale lo aiuta poi a consolarsi, rischiosamente, di ogni possibile lacuna umanistica [1].
Liedholm lo ha realizzato, inventando un gioco speciale per la sua strana squadra: un gioco che ha proiettato a turno tutti i rossoneri verso la porta avversaria, che ha esaltato le straordinarie doti atletiche di Aldo Maldera, che ha permesso a un Bigon non più giovanissimo di imbroccare la migliore stagione di tutta la sua carriera [5].

la squadra
Bigon è un funambolo sui propri bulloni, che purtroppo sono a livello d'erba. In passato ha sempre avuto singolare misura ed è saggiamente rimasto nell'ombra di Rivera. Uscito il quale, improvvisamente il devoto scudiero è assurto a ottimo comandante. La sua annata può paragonarsi a quella, davvero miracolosa, che consentì a un abituale flanellista (sia pure di genio) come Corso di assurgere a deus-ex-machina dell'ultimo scudetto interista (ahi, 1971) [1].
"Questo scudetto lo dedico agli amici che mi sono rimasti tali anche dopo la sconfitta di Verona nel '73. Ho un solo grosso dispiacere: che non ci sia Rocco qui con noi e a lui col quale avevamo gioito e sofferto per tanti anni va il mio primo pensiero [6]
Che tutto ciò sia avvenuto per dichiarato progetto e non per caso, lo dimostra la scelta del battitore libero. Liedholm pensò in un primo momento a Bigon, poi si convinse a puntare sull'esordiente diciottenne Baresi. Che cosa avevano in comune questi due? Non l'esperienza nel ruolo, non la brutale prestanza fisica, non la ruvida attitudine a spazzare l'area a casaccio, ma esclusivamente la padronanza tecnica e la capacità di contribuire alla costruzione dell'azione offensiva. Liedholm sapeva che, quale dei due avesse scelto, il settore difensivo avrebbe potuto subire momenti di distrazione o sbandamento. Ma ha accettato questo rischio, calcolandolo, per migliorare il gioco d'attacco. E i fatti gli hanno dato ragione [5].
Merito di Lidas, e di chi l'ha capito e sostenuto, il lancio di ragazzi che sono subito entrati nell'élite del calcio nazionale: cito Baresi e Collovati, entrambi dotati di stile troppo raffinato - a mio parere - perché non si debba guardarli con sospetto, sia pure molto amorevole [1].
Alla preparazione atletica Liedholm non ha mai sacrificato quella tecnica, sapendo che non basta correre per giocare il calcio. Ha ostinatamente lavorato per affinare le risorse degli elementi più grezzi [5].
Rivera ha speso gli ultimi spiccioli in preziosissimi acquisti. Quando si è grippato, ha saputo restare in disparte giovando tangibilmente alla conduzione generale della società e della squadra. Il suo carisma prestipedatorio è così ben radicato che potrebbe riuscire alla lunga pericoloso. L'amor che muove il sole e l'altre stelle non può, ragionevolmente, far correre un regista come dovrebbe. Molte volte lo vedevo seduto sulla favolosa sedia vescovile che sappiamo: altri, meno disincantati, adoravano con irriducibile entusiasmo: e però certo non stavano in campo, dove era giocoforza correre e sfiatarsi per lui... [1]. A vederlo così nello spogliatoio e fra boati di felicità, dopo una stella conquistata e un record prestigioso raggiunto, si riesce in parte a capire il segreto del campione. La freddezza appena macchiata di ironia, la capacità di contenere gioia ed emozioni nell'ora del trionfo assoluto, la razionalità dell'uomo che vince la passione del cuore. Ma dentro gli occhi c'è la felicità del bambino [8].
Ricoeu Albertosi ha incantato salvando risultati (e quali!) con la distaccata insolenza del campione che ormai sopravvive a tutti e a se stesso. Qualcuno - anche milanista - ha spropositato che certi suoi errori non erano degni di così decantato campione: oh irriconoscenza marcia e malevola! Ricoeu è stato fra i principali artefici del successo milanista. Fra i protagonisti dell'anno vanno apprezzati in giusta misura Maldera, atipico di classe superba, terzino goleador della statura di Facchetti, tanto nome!, e ancora Buriani, il mio diletto Mehari, alla lunga ciucco di correre [1].
I progressi di un giocatore utilissimo ma non elegante, come Buriani, rappresentano una testimonianza concreta di questo tenace sforzo. Pochi giorni fa, vedendolo insegnare ad alcuni rossoneri come si calcia di esterno, un cronista chiese a Liedholm: "Perché insiste tanto? Il campionato è finito". Serafico, lo svedese rispose: "Per la tournée in Brasile. Dobbiamo far vedere qualcosa a quel pubblico di intenditori" [5].
Valido è stato anche l'apporto di Novellino, però notevolmente inferiore alle speranze di chi aveva tanto sborsato per il suo acquisto. E decisamente peggio è andato Chiodi, povero figlio. Ai giovani di alto stile più sopra citati va aggiunto l'avv. De Vecchi, che le lunghe leve rendono curiosamente asincronico nei movimenti minimi: è questo, si badi, un rilievo estetico scarsamente legato ai notevoli apporti tecnico-agonistici: De Vecchi è più volte assurto a match winner: ha senso geometrico e tiro assai forte da fuori. Che più? Scarsa fortuna hanno avuto Bet e Morini: notevolissime sono state per contro le apparizioni di Antonelli: il guizzo repentino potrebbe farne un'ala di rara efficacia costruttiva [1].

il dibattito
Dopo otto anni lo scudetto è tornato a Milano. Nessuno può dire se l'affermazione milanista segni la definitiva caduta della lunga dittatura juventina e rappresenti l'inizio di un nuovo ciclo del campionato. (...) Tuttavia il ritorno dello scudetto a San Siro riequilibra i valori del nostro calcio e offre stimoli nuovi a un torneo cloroformizzato per diversi anni dalla superiorità della Juve (...) L'area dello scudetto adesso si è allargata davvero. È stato il Milan ad aprire la breccia [5]. Ha vinto il Milan, evviva il Milan, onore al Milan. Anche se questa è un pochino la stagione del nostro scontento.
Non lo diciamo per motivi torinesi, ma secondo l'etica e il colpo d'occhio di Enzo Bearzot, che in una recente intervista ha riconosciuto tutti i meriti milanisti però sa che l'annata sta profilandosi grama: difensori veri, registi autentici, punteros degni di questo nome stanno sulle dita di due mani, il resto è eclettismo, viziato da tutti gli atipici che fanno football, ma non si sa quanto lo portino avanti [2].
Lo scudetto del Milan, vinto all'insegna dell'unica punta in attacco, non è stato che la naturale sottolineatura di un football quale il nostro, che le punte tradizionali vede nascere sempre più di rado. Bearzot, in alcune recenti interviste, si è dimostrato preoccupato per questa situazione, temendo il nascere di un nuovo gioco italiano, appunto con un solo uomo da area e tanti centrocampisti, forse dimenticando quanto accaduto in Argentina, dove proprio con questo obbligato tema di gioco raccogliemmo soddisfazioni imprevedibili. Rossi fu l'unica punta, mentre Bettega fu sia punta sia centrocampista, col risultato di morire anzi tempo, come alla Juventus sanno benissimo [3].

l'omaggio
San Siro è una lieta bolgia. Manca però Nereo, manca il Paròn, proprio l'uomo che per una stella avrebbe venduta la cantina (...) Il Paròn è già una statua, a Milanello, una statua che ha lasciato interdetto Bigon e che è piaciuta solo a Capello [2].
Domani pomeriggio la festa sarà più grande a Milanello, dove s'inaugura il monumento a Nereo Rocco, il solo enorme rimpianto in un bellissimo settantanove [9]. L'ultimo pensiero di Rivera è per Nereo Rocco, un pensiero dolce e delicato: "Non è più con noi, lui che più di ogni altro meritava e voleva la stella. Forse dovremmo moderare un po' la nostra gioia ricordando la sua scomparsa, tuttavia penso avendolo conosciuto bene che lui di lassù desidera così" [8].
"Non immagino chi al mondo possa battere la vostra squadra" [10]

Note
[1] Gianni Brera, Il Giorno, 7 maggio 1979
[4] Giovanni Arpino, Stampa Sera, 7 maggio 1979
[7] Gualtiero Zanetti, Guerin Sportivo, 9 maggio 1979
[2] Mario Sconcerti, la Repubblica, 8 maggio 1979
[3] Gianni De Felice, Il Corriere della sera, 7 maggio 1979
[5] Felice Colombo a Giorgio Reineri, Il Giorno, 7 maggio 1979
[6] Albertino Bigon dopo Milan-Bologna del 6 maggio 1979
[8] Carlo Coscia, la Stampa, 7 maggio 1979
[9] Gian Maria Madella, l'Unità, 7 maggio 1979
[10] Papa Giovanni Paolo II, Angelus in piazza San Pietro, 13 maggio 1979

i gol


2 commenti:

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