giovedì 30 giugno 2016

L'anno del dis-possesso palla


ECCOLO, il terzo indizio. Si chiama Islanda. Se dunque Agatha Christie fosse ancora fra noi a occuparsi di pallone, adesso solleverebbe un dito convinta di avere le prove. Il possesso palla è stato ucciso, l'assassino è il contropiede, 2016 anni dopo Cristo e 45 dopo Guardiola. Gli Europei di Francia confermano i sospetti nati in Inghilterra con il Leicester e in Champions con l'Atletico. Lars Lagerbaeck è il terzo rivoltoso dell'anno accanto a Ranieri e Simeone. La sua squadra tiene il pallone fra i piedi solo per il 35 percento del tempo in una partita, circa trentuno minuti e mezzo secondo i dati Opta, meno di tutte le altre ventitré nazionali, eppure si trova ancora là, fra le migliori otto d'Europa.


Dentro la squadra miracolo reclutata in quattordici differenti campionati — comprese le serie B di Italia, Germania, Inghilterra e Norvegia — c'è il cuore, c'è l'equilibrio, c'è l'organizzazione, non una trama, visto che sono sbagliati in media quattro passaggi su dieci. L'-I-slanda si iscrive così alla setta delle squadre che scelgono di controllare il gioco lasciandolo controllare. Calcisticamente scorretto negli anni del pensiero unico del tiki-taka, il dis-possesso palla ha messo a segno un altro colpo clamoroso nel giorno simbolico dell'uscita di scena della Spagna. Tutto torna. Una foresta di segni. Delle otto nazionali che qui in Francia hanno tenuto più spesso il pallone fra i piedi, cinque sono già tornate a casa: oltre alla Spagna, pure Inghilterra, Svizzera, Ucraina e Austria, quest'ultima come rappresentazione estrema della vanità di certe contorte reti di gioco. Aveva segnato un gol in tre partite.

Si fa con quel che si ha. «Non vince chi ha i migliori soldati, ma chi sa usarli meglio» disse Simeone in primavera mentre buttava fuori dalla Champions una dietro l'altra le due squadre simbolo del pallone che gira gira gira, il Barcellona e il Bayern, ai primi due posti infatti nella classifica della specialità in Coppa. Le antiche barricate hanno trovato una loro dignità. Simeone ne è l'interprete supremo, primo perché rivendica a parole appena può la scelta, senza vergognarsene; secondo perché l'Atlético ha trasferito la raffinatezza della ricerca tattica dal territorio dell'attacco a quella della difesa, grazie al lavoro di Oscar Ortega, uno dei vice del Cholo, uruguayano, ex allenatore di rugby. Dal suo vecchio sport ha estratto il sistema difensivo per quadrilateri e lo ha applicato al calcio. L'Atletico si difende portando pressione e tackle dove non vuole che finisca il pallone, cancellando così l'anomalia del calcio che non ha un tempo limite per l'azione offensiva, contrariamente al volley (tre tocchi), al basket (24 secondi) e alla pallanuoto (30 secondi): tutti sport in cui ambedue le squadre hanno in teoria a disposizione le stesse occasioni. La differenza si fa limitandone efficacia e numero, con una gran difesa.

I signori del dis-possesso palla sono andati bene un po' dovunque. Caen e Angers in Ligue1 sono arrivati settimo e nono, Wba e Sunderland si sono salvati in Inghilterra, lo stesso il Darmstadt in Germania. Ora l'-I-slanda agli Europei ha scelto di esagerare. Il 35 percento di possesso è la quota più bassa della stagione, campionati nazionali compresi. Quello che finora ha toccato più spesso il pallone è Halldorsson. Il portiere. In media 35 passaggi a partita. Iniesta, per capirsi, arriva fino alle soglie dei cento. È tutto chiaro, monsieur Poirot.

(su Repubblica il 29 giugno 2016)

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