mercoledì 11 maggio 2016

Vado, batto e smetto: il rigore prima dell'addio

CHE bello questo regalo. Stai per andartene, il sole è al tramonto, la porta alle tue spalle è quasi chiusa e l'arbitro fischia un calcio di rigore. Così agli amici viene voglia di fermarti, vogliono scattarti l'ultima foto ricordo e farti ciao mentre sorridi. Vai, vai, tiralo tu. Capita a Luca Toni che sta salutando dopo tre campionati Verona e il calcio dopo ventidue. Capita a Gianpaolo Bellini che si stacca dall'Atalanta dopo aver portato quella maglia dalle giovanili fino alla fine, 1986-2016, trent'anni senza cambiare colori. Il Totti di Bergamo. Viene perfino da commuoversi. Grazie a tutti, che cari che sono gli amici, allora batto io. Solo questo tiro e vado, ancora uno e basta. Mani sul fianco, rincorsa e all'improvviso il panico. E se poi lo sbagli? Questo allora non è un regalo. Questa è una trappola. Stai per andartene, il meglio del tuo calcio è passato e noi siamo purtroppo cresciuti fra Hollywood e il romance, con la bizzarra idea che l'ultima pagina sia quella che conta più delle altre, che il lieto fine debba essere il canone. Provate a tirarlo voi un calcio di rigore in queste condizioni, nel giorno dell'addio, provate ad arrivare su quel pallone davanti a una porta che all'improvviso sembra piccolissima, sapendo che sarà l'ultima volta, e dunque senza rivincita, sapendo che dopo non ci sarà nient'altro da ricordare né da dimenticare. Meglio a questo punto che non ci sia nulla di cui farsi perdonare.
Finanche i super eroi hanno paura dell'ultima scena. Devono aver visto com'è andata a Zidane. Due anni dopo quella testata che a Berlino fece ombra a una carriera con un Mondiale e un Pallone d'oro, al cinema la Marvel ha inventato un nuovo inizio dopo l'epilogo, qualcosa che succede dopo i titoli di coda. Così, se non vi è piaciuto come Iron Man s'è giocato le sue carte, arriva Nick Fury e vi apparecchia un post finale. Un calcio di rigore per salutare è perfetto nelle partite d'omaggio, quella messinscena malinconica che si finisce per giocare con un po' di pancetta in mezzo a vecchi amici coi capelli bianchi. L'arbitro fischia, il portiere si butta dall'altra parte e la folla è contenta. «In settimana avevano detto che non me lo avrebbero lasciato calciare», spiegherà Bellini dopo aver messo in porta il gol dell'uno a uno contro l'Udinese. Si capisce. A Bergamo avevano fatto la stessa esperienza con Denis a gennaio, il giorno prima del suo volo di ritorno in Argentina. Rigore. Quello tira, s'impappina e sbaglia. Col figlio dietro la porta. Nel dramma riuscì almeno a prendere la respinta.

Il più pesante fra i rigori d'addio capitò sul piede di Liam Brady il 16 maggio '82 a Catanzaro. La Juve aveva già comprato Platini, stavano per lasciarsi. Eppure il tiro della vittoria a 15' dalla fine, il tiro che valeva lo scudetto, andò a prenderselo l'irlandese nella sola maniera possibile. Con incoscienza. Senza comprendere l'errore fra le ipotesi. «Era la normalità» spiegò anni dopo. Allora Toni ha fissato Neto, «non sapevo se tirare a destra o a sinistra» e proprio nell'incoscienza s'è rifugiato. Triste, cucchiaio y final.

(uscito su Repubblica il 10 maggio 2016)

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