giovedì 18 febbraio 2016

Le sette canzoni che ci sono dentro Vincere l'odio

Gli Elii vestiti da Kiss a Sanremo 2016 
SANREMO - Un gruppo che porta a Sanremo una canzone fatta di sette canzoni, anche quando manda il suo disco in negozio finisce per inventarsi qualcosa. Mentre sul tavolo dell’Ariston giocano con Vincere l’odio, Elio e le storie tese fanno uscire il nuovo cd in un box accoppiato a “Lelo Siri 2”, un oggettino in due colori che spezza l’ultimo tabù. E’ stato prodotto in mille esemplari. “E’ un vibro-massaggiatore che risponde alla bella musica. Se Barbara D’Urso è vicina alla gente che soffre, gli Elii sono vicini alla gente che gode”, spiegano in un ristorante di Sanremo prendendo di mira tutti i luoghi comuni, i vizi, i tic della canzone italiana e della discografia. Il cd si chiama Figgatta de Blanc, con riferimento affatto casuale ai Police e al loro Reggatta de Blanc del ’79, come del resto L’album biango giocava con i Beatles. Una genesi raccontata alla maniera loro. Rocco Tanica svela che “il disco doveva chiamarsi Merda, poi ci siamo detti: ammorbidiamo un po’”. Obiettivo finale: “Il titolo migliore è sempre quello che fa ridere di più”, dice Elio.
Il disegno in copertina è abbastanza esplicito, l’oggettino distribuito pure. Una nuova esibizione di genialità dopo il pezzo che al festival mette insieme non ritornelli ma “andarelli”, perché vanno e non tornano. Ancora Tanica (che però non è sul palco perché ha scelto di condurre la surreale rassegna stampa del dopofestival): “C’è un albero genealogico dietro questa canzone. Il primo ritornello è figlio di una suggestione che viene da Morandi e Dallara. Il secondo, Femminiello che vivi a Napoli, è la classica canzone scomoda, diciamo alla Federico Salvatore. Poi ci sono echi di Orietta Berti, della tintarella di Mina, di Oxa-Leali nella parte per intenderci in cui si canta “burbera”, e ancora Sylvie Vartan, per giungere a un finale pucciniano”.
Si divertono, questo è evidente. “Se nella gara delle cover avessimo battuto Rocco Hunt, sarebbe stato un brutto segno”, dice Elio. Smentiscono ogni frizione interna. Tanica racconta che nei tour non c’è e non ci sarà perché fisicamente meglio riposare, “del resto l’orchestra Casadei per il novanta percento delle esibizioni è senza Casadei, il quale resta a casa con la chiavetta per ricevere i bonifici”, fa Cesareo. Il nuovo cd è pieno di prime volte. “Come piace a noi. Vogliamo essere sempre i primi a fare qualcosa. Il morbo degli Elii è arrivare in anticipo”. Così arriva pure la prima volta di un pezzo scritto da un autore estraneo alla band: Francesco Di Giacomo, la voce del Banco che non c’è più da due anni. “Aveva inciso un brano voce e piano, un pezzo splendido, noi ci abbiamo lavorato su”.
Steve Copeland, batterista dei Police, stava per essere chiamato a suonare nell’ultima traccia del disco, poi ha rinunciato perché “il pezzo non era veramente brutto come chiedeva”. La verità è che Elio non rinuncia alla sua identità, “non un disco matto casomai raffazzonato”, e anche se la band sta pensando a un tour con un’impostazione nuova, “uno spettacolo vero come fanno i cantanti veri, con le ballerine”, ecco, nel loro caso le ballerine saranno “ragazze che hanno già finito la carriera e che se ne stanno a casa nel tentativo di tenersi in forma: delle milf”.
Nel disco pure J-Ax e il violino di Mauro Pagani. “Ma ci siamo dimenticati di inserire il suo nome nei credit. Per riparare, faremo stampare una sola copia con il suo nome scritto ancora più grande del nostro e gliela regaliamo: mica andrà a controllare tutte le altre che sono nei negozi?”. Rimane da vedere dove finirà la loro meta-canzone portata all’Ariston, una provocazione superiore finanche alla Terra dei cachi di vent’anni fa. Nella serata in cui gli artisti dovevano far riascoltare per regolamento solo un minuto dei loro brani per la votazione del pubblico, gli Eelst la suonarono per intero ma alla velocità tripla. Per farla entrare integra nel tempo previsto. Forse la dimostrazione di tecnica e virtuosismo musicale più alta vista nella storia del festival. “In realtà noi vorremmo solo cantare l’amore e non ci capite, voi le chiamate stupidate”.

(la Repubblica, 18 febbraio 2016)

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