sabato 9 gennaio 2016

Dybala, un Pantheon che cammina


New York è a seimilacinquecento chilometri di distanza, ti danno una punizione dal limite e anche senza l'uomo con la barba qualcuno dovrà pur tirarla. Così il povero Allegri una volta incarica Pogba, un'altra si arrangia con Hernanes e preso dalla disperazione un giorno considera perfino che sia il turno di Bonucci: per dire a quale livello di stress possa sottoporre il calcio. Finché trentasei partite dopo l'ultimo gol juventino su punizione, contro il Torino ad aprile, Dybala prende la rincorsa e mette la palla nel punto in cui fino a pochi mesi fa sapeva piazzarla soltanto Lui, l'uomo che non rideva mai. In porta. La "benedetta". Come fai a questo punto a non cedere alla tentazione di chiamarlo "il nuovo Pirlo"?
D'altra parte, chissà perché, con Dybala certi accostamenti vengono naturali. Quando a diciannove anni diventa il più giovane a far gol nella storia dell'Instituto Atlético Central, a Córdoba per tutti è "il nuovo Kempes". Solo qualche mese più tardi Zamparini passa in Argentina e mette dodici milioni sul tavolo per portarsi il ragazzo in Sicilia, gridando al mondo di aver scoperto "il nuovo Agüero". Pietro Lo Monaco che gli sta accanto prova a riportare le cose dentro i nostri confini. Il Kun non c'entra, per lui è "il nuovo Montella". Ma siccome i giorni passano, i ricordi sbiadiscono e le abitudini cambiano, quando dopo 21 gol arriva il momento di venderlo, e di venderlo bene, Dybala è già diventato "il nuovo Messi"; adesso vale cento milioni racconta in giro Zamparini, aggiungendo commosso che preferirebbe darlo al Napoli, perché lì sarebbe diventato il "nuovo Maradona". E qui l'affare onestamente si complica.
disedyba«Non vado al Napoli: là nessun argentino potrebbe fare meglio di Diego» fa sapere Dybala, un po' per smarcarsi avendo in tasca l'accordo con la Juve, un altro po' perché non gli sfugge il tipo di destino a cui sono andati incontro tutti i "nuovi Maradona" della storia: da Borghi a Gallardo, da Ortega a Buonanotte. Meglio Torino, allora. Dove pure lo aspettano con i paragoni puntati. Marotta lo accoglie come il "nuovo Tévez" perché nel frattempo il vecchio, quello vero, se n'è andato. Il sospetto è che Paulo se le vada a cercare: si presenta con questa tendenza a tenere i calzettoni sempre un po' abbassati e finisce che il tifoso Ezio Greggio lo prende per il "nuovo Sivori". Più scetticamente, quasi tutti quanti gli altri cominciano a credere che casomai si tratti del "nuovo Iturbe", per via dei tanti milioni spesi (40), dei pochi gol e delle troppe panchine a cui Allegri lo costringe. Lo stesso Dybala aggiunge confusione facendo partire dal suo account un tweet in cui riferisce di aver ripreso gli allenamenti a Trigoria e chiudendo con un "forza Roma" che certifica questo gigantesco conflitto di personalità presenti in un corpo solo. Peraltro un corpo con tre passaporti: argentino, italiano e polacco. Uno, Dybala e centomila. In realtà aveva solo fatto casino il suo social media manager - li chiamano così: lo stesso del romanista.
Mettendosi dietro le spalle il numero 21, Dybala accetta di diventare un Pantheon che cammina. Era il numero che portava Zidane prima ancora di Pirlo, quello con cui in Argentina nel ‘78 Rossi diventò Pablito. Ma è pure il prodotto fra i due numeri sacri, il tre e il sette, e dunque un segno della perfezione. Il Blackjack. Naletilic, agente Fifa, vede in lui "il nuovo Baggio". Prandelli resta incantato e lo chiama "il nuovo Del Piero". Dybala è una glossa calcistica. Traduce gesti antichi nel linguaggio corrente. È una summa di frammenti, li ammucchia e finisce per citarli tutti. Il primo campione post-moderno. Chissà come lo avrebbe definito l'Avvocato, che aveva visto Raffaello (Baggio), Pinturicchio (Del Piero) e Delacroix (Zidane). Senza una risposta, dovremo lentamente abituarci al pensiero che Zamparini sta già cercando "il nuovo Dybala".
aggiornamento (25 gennaio 2016) "Dybala ricorda un po' Boniek, un giocatore che trascinava". (Trapattoni)

Nessun commento: