mercoledì 1 luglio 2015

Masopust, campione del mondo per tre minuti


ERA domenica. Josef Masopust mise il Pallone d'oro dentro una busta di plastica, salì in tram e andò allo stadio. «I tifosi devono vedere il trofeo». Diventava così il primo campione simbolo dell'Est, prima di Jascin, più di Puskás che nel frattempo si faceva spagnolo. Di qua il calcio scopriva i guadagni, di là c'era il loro dilettantismo. Masopust e gli altri. France Football e una giuria di 19 giornalisti gli diedero il premio come miglior giocatore europeo dopo la finale mondiale del ‘62.
Masopust l'aveva giocata con il 7 della Cecoslovacchia dietro le spalle e un po' per caso. Era uscito dal giro da due anni. Troppo vecchio (ne aveva 30), troppo lento e tante grazie. Il giorno prima di un'amichevole con l'Austria si fanno male in tre, tutti a centrocampo. I giovani più bravi giocano a Kosice, a Praga non sarebbero arrivati in tempo. Richiamano Masopust, allora. Torna e capisce che se vuole andare ai Mondiali deve fare il fenomeno. Lo fa. Raccontano che saltò sei avversari, portiere compreso e fece gol, lui che non ne ha mai segnati tanti, 10 in tutto in 63 presenze, uno pure all'Italia. «I gol servono, ma a me piacciono i passaggi». Ieri è morto a 84 anni e dei suoi non s'è smesso ancora di parlare. Non aveva un gran tiro e di testa non la prendeva mai. Attaccante, poi mezzala, poi qualcosa che assomigliava a Xavi prima di Xavi: passo breve, dribbling stretto, geometria. Eppure il Pallone d'oro glielo diedero probabilmente per l'1-0 iniziale al Brasile in finale, vantaggio durato poco. Finì 1-3. Ci scherzava. «Almeno per tre minuti sono stato campione del mondo». Pelé mancava. S'era strappato 15 giorni prima proprio contro i ceki nella partita del girone ed era rimasto in campo per non lasciare in 10 i suoi. Masopust aveva ordinato ai compagni di non contrastarlo, Pelé lo definì il più grande gesto di fair play nella storia del calcio: «E gioca come un brasiliano».

Josef veniva invece da Most, il nord della Boemia. Quando i nazisti invasero, lui aveva otto anni. A pallone si giocava di nascosto nei villaggi. Ha vinto 8 scudetti e 3 Coppe con il Dukla. «Non ho mai preso soldi per giocare a calcio prima dei Mondiali ‘62». Nemmeno dopo, a lungo. Era capitano dell'esercito. Lo accolsero come un eroe, promettendogli un premio. Il premio era la copia di un libro sull'importanza dello sport nella società scritto dal ministro della Difesa. Ovviamente autografato. Ebbe il permesso di passare professionista in Belgio a 37 anni, a Praga era arrivato al governo Dubcek. Da allenatore sosteneva: «Preferisco vincere 5-4 anziché 1-0». Così arrivò il titolo dello Zbrojovka nel 1978, e da allora Brno - seconda città del Paese aspetta ancora. Quando compì 80 anni, i festeggiamenti durarono 4 mesi. Comprendevano una statua in bronzo ad altezza naturale e una mostra. Josef disse: «È troppo, sono uno dei tanti ». Non era vero.

(la Repubblica, 30 giugno 2015)

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